IL GIRO DELLA MEMORIA. SECONDO GIORNO DI RIPOSO, RENATO GIUSTI E IL DENTE AVVELENATO DEL 1961

STORIA | 25/05/2020 | 07:55
di Marco Pastonesi

Nel secondo dei due giorni di riposo del Giro della memoria, ecco a noi Renato Giusti, professionista tra il 1959 e il 1963, e il suo indimenticabile Giro d’Italia 1961.


“C’è chi stringeva i denti, chi mostrava i denti e chi aveva il dente avvelenato. In quel Giro d’Italia del 1961 io avevo il dente avvelenato. Non sempre, ma spesso. E mi aiutava”. Due primi, un secondo e un quarto posto, secondo a pari merito con Poblet dietro a Van Looy nella classifica a punti, secondo con la Torpado nella classifica a squadre, comunque trentesimo nella classifica generale. Renato Giusti, veronese di Bonaldo, maglia nerazzurra e bianca della Torpado, di anni 22 e di dorsale 155 (“Il signor cen-to-cin-quan-ta-cin-que Renatino Giusti”, sillabava Adriano De Zan), aveva - non sempre, ma spesso - il dente avvelenato.


“Le prime tappe stentai, in quella di Cosenza arrancavo in fondo al gruppo e, spaventato dalla possibilità di finire fuori tempo massimo, per cinque chilometri mi attaccai a una macchina. Poi cominciai a ingranare. Nella crono di Bari feci lo stesso tempo di Pambianco, che avrebbe vinto il Giro. Alla partenza, davanti a me, Pierino Baffi. Gli giurai: 10 chilometri e ti riprendo. Lui sorrise: guarda che oggi non mi riposo. Dopo 10 chilometri esatti lo ripresi, ma non riuscii più a staccarlo, ingaggiammo un testa a testa – superfluo, inutile, fratricida - come se ci giocassimo la vita, e da lì saltò fuori il buon tempo. Due giorni dopo, nella tappa di Teano, un caldo equatoriale, una fiacca africana, navigavo in coda: eravamo nel Beneventano, zampellotti su e giù, via una trentina in fuga, reagii, e con Pambianco, il mio compagno di squadra Liviero, Moser, che a quel tempo era Aldo, e qualcun altro recuperammo 10 minuti di ritardo, me la giocai in volata, ai 300 metri Minieri mi prese per la maglia, Chiodini vinse su Liviero, io finii nono e con il dente avvelenato”.

Infatti: primo capolavoro. “Dodicesima tappa, la Gaeta-Roma, 149 chilometri. Alla partenza lo dissi chiaro e tondo: oggi, chi vuole vincere, deve arrivare davanti a me. Entrai in una prima fuga, troppo bella per essere vera: c’erano Anquetil, Suarez, Pambianco, Massignan, forse anche Gaul. Ci fermammo. Sui Castelli Romani tirai fuori un’altra fuga: pancia a terra, andammo al traguardo, il velodromo olimpico, la pista in legno, dedicato a Fausto Coppi e poi buttato giù, entrai in testa, un giro e mezzo senza mollarla, vinsi su Bruno Mealli, Noé Conti, Garau e Sartore, staccato Arienti che aveva forato a una decina di chilometri. Prevista la prima diretta tv, imprevisto il mancato collegamento con le telecamere fisse, così la mia volata non si vide”. Un paio di inconvenienti, a Vicenza sul Monte Berico secondo dietro a Zaniboni e a Trieste sesto nonostante una caduta ai -2 dall’arrivo, e riecco il dente avvelenato. Infatti: secondo capolavoro. “Diciottesima tappa, la Trieste-Vittorio Veneto, 161 chilometri. Pioggia, fughetta, volata, vittoria. Avevo rotto il filo del freno anteriore, ma i freni per vincere, soprattutto allo sprint, non servono”.

A Renatino Giusti il signor cen-to-cin-quan-ta-cin-que rimaneva la tappa finale, quella di Milano. “Ma prima avrei dovuto superare la Trento-Bormio, 275 chilometri e tre montagne, Pennes, Giovo e Stelvio. Si partì alle 8 di mattina, si arrivò quasi al buio: 11 ore in sella. Sul Pennes passai quarto, non vinsi il gpm solo per non dare fastidio agli scalatori. Giù dal Pennes forai, aspettai che passassero tutte le ammiraglie, recuperai, soffrii il vento contrario della Val Venosta, ai piedi dello Stelvio entrai in una osteria, mi feci dare un panino e due birre, mangiai e bevvi, poi salii con il mio passo, non doveva essere lento se ripresi e staccai Defilippis in salita e Balmamion in discesa. Così puntai su Milano. Fino a un chilometro dal Vigorelli fui perfetto: attaccato alla ruota di Van Looy. Ma Sorgeloos, una delle guardie rosse della Faema, mi buttò su un marciapiede. Risalii tutto il gruppo e, con il dente avvelenato, feci in tempo ad arrivare nono”.

Un Giro sottovalutato, quello del Centenario: “Quattromila e passa chilometri, metà delle tappe oltre i 200 chilometri, in tutte le regioni, comprese Sardegna e Sicilia, con tutti i più forti, da Anquetil a Suarez, da Gaul a Bahamontes. E, scusate se è poco, con Joan Crawford come miss. Io, modestamente, volavo”. Con il dente avvelenato.

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