Langkawi. Paolo Noè, massaggiatore per passione

| 31/01/2011 | 14:40
È il papà di Eddy e Zoe, due bellissimi bimbi di 7 e 5 anni di cui mostra orgogliosamente i nomi tatuati sulle spalle, è il marito di Stefania, conosciuta ovviamente a una corsa, e il fratello minore di Andrea “Brontolo” Noè, quest’anno alla sua ultima stagione tra i pro’ in maglia Farnese Vini Neri Sottoli.
Paolo Noè è da una vita nel mondo delle due ruote: prima corridore nelle categorie giovanili, poi massaggiatore di note squadre italiane dilettantistiche e professionistiche.
Dopo il debutto nel ’94 alla “Sei giorni di Cremona”, ha fatto le sue prime esperienze nella Vini Caldirola, nel San Marco Group, nell’Amore&Vita e nella Mapei; ha trascorso poi due anni con Bruno e Roberto Reverberi alla Scrigno, quattro stagioni con la Mapei e due anni con Davide Boifava, prima alla Mercatone Uno di Marco Pantani, poi alla Barloworld.
Da sette anni è tornato alla corte dei Reverberi, l’abbiamo incontrato al Tour d Langkawi 2011 in cui è impegnato con i ragazzi della Colnago CSF Inox e abbiamo scoperto qualcosa in più sul suo lavoro, le sue passioni, il suo rapporto con Andrea, i suoi progetti…
Com’è nata la tua passione per il ciclismo?
«In casa si è sempre respirato profumo di bici, soprattutto per la grande passione di mio papà per le due ruote. Io ho iniziato a correre da Esordiente, Andrea mi ha seguito da Allievo. Ho appeso la bici al chiodo da dilettante, vincevo poco e ho capito di non poter essere un campione quindi ho deciso di dedicarmi ad altro, sempre nel mondo del ciclismo ed è andata benissimo. Quando correvo non ero mai al posto giusto nel momento giusto, mentre nell’ambito lavorativo è quasi sempre stato l’opposto».
Quando hai iniziato a fare il massaggiatore?
«Ho fatto il mio primo massaggio ad Andrea nell’88, quando eravamo al militare, la domenica dopo ha vinto la sua prima corsa da dilettante. Un buon segno per l’inizio di due carriere, che da lì in avanti ci avrebbero regalato tante soddisfazioni».
Com’è la giornata tipo di un massaggiatore in una corsa a tappe come quella in cui sei impegnato in questi giorni?
«Ci si sveglia presto, si prepara la colazione per i ragazzi, i panini e il resto del materiale che servirà per il rifornimento e per il pranzo di tutti i membri del team, poi si svegliano i corridori. In genere si è in due o quattro massaggiatori in base all’importanza e alla lunghezza della corsa quindi i compiti possono variare. Se devo seguire la gara raggiungo la partenza per assistere i ragazzi, poi mi occupo del rifornimento e alla fine del cambio e dell’eventuale antidoping; se invece questo lavoro è svolto da un mio collega, devo raggiungere l’albergo successivo e far sì che tutto sia pronto prima dell’arrivo dei corridori: le valigie vanno messe nelle camere, il lettino per i massaggi va montato, il menù va concordato col cuoco in base alle esigenze degli atleti e alle specialità locali…Alla fine di tutto ciò, si inizia a fare il vero lavoro di un massaggiatore, ossia i massaggi, che variano in base al tempo a disposizione e ai problemi di ogni atleta».
Il tuo lavoro non è importante solo per il fisico degli atleti…
«Esatto: oltre a dovermi occupare dei muscoli dei corridori, devo lavorare anche sulla loro testa. Per prima cosa i ragazzi vanno ascoltati, bisogna farli rilassare e rincuorarli se hanno delle preoccupazioni. Un buon massaggiatore, per come la penso io, deve essere un punto di riferimento per i suoi atleti, deve far loro un po’ anche da psicologo e deve insegnar loro quel che sa, anche se i ragazzi di oggi ormai ascoltano poco. Sai cosa dico sempre a quelli troppo convinti di essere già arrivati, che non apprezzano i consigli di chi ha più esperienza di loro? “Smetterete prima voi di fare i corridori, che io di fare il massaggiatore”. Ci ho sempre azzeccato».
Quale atleta porti nel cuore?
«Non mi sono mai innamorato di nessun corridore in particolare, ho sempre dato tutto quello che potevo a tutti, comportandomi con ognuno in maniera professionale, ma d’istinto dico Giuliano Figueras. Era un gran corridore e uno con cui parlavo molto di musica, nostra passione in comune. In generale mi piace molto lavorare a contatto coi giovani, ai quali credo umilmente di poter insegnare qualcosa».
Com’è il tuo rapporto con Andrea?
«Siamo legati in maniera viscerale come tutti i fratelli, abbiamo lavorato assieme solo quattro anni alla Mapei poi ognuno ha preso la strada migliore per la propria carriera. Non gli ho mai concesso favoritismi, non gli ho mai dato più degli altri, nei suoi confronti mi sono sempre comportato come con tutti gli altri atleti con cui ho avuto a che fare. Quando ci vediamo alle gare è senz’altro piacevole, è un  po’ come essere sempre in famiglia. Ancora oggi prima delle corse importanti viene da me per fare i massaggi: nel rapporto tra massaggiatore e atleta la fiducia è indispensabile, tra fratelli è naturale».
Ti va di raccontarci un ricordo che lega te, Andrea e il vostro amore comune per la bici?
«Non scorderò mai il giorno in cui Andrea ha indossato per la prima volta la maglia rosa al Giro del ’98 a Schio. Lui correva per la Asics, io lavoravo per la Scrigno, ma non potevo perdermi quel momento. Mi ricordo di aver fatto tardi con il mio team per vederlo sul podio, ma di aver vissuto una grande emozione che porterò sempre con me».
Cosa ti auguri per il tuo futuro?
«Di staccarmi un po’ dal mondo del ciclismo, del tutto non sarà mai possibile perché il ciclismo è la mia vita, ma vorrei trovare il modo per trascorrere più tempo a casa dopo quasi vent’anni in giro per il mondo. Tra una decina di anni mi piacerebbe cambiare totalmente lavoro. Un sogno sarebbe aprire un ristorante con mia moglie, lei è bravissima ai fornelli, io sono appassionatissimo di musica, soprattutto di vinili. Sarebbe stupendo mettere assieme le due cose e realizzare un progetto insieme. A 50 anni dovrò inventarmi qualcosa di nuovo o no?».

Giulia De Maio

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