In questi giorni si discute molto se il ciclismo debba o possa diventare uno sport a pagamento, come quasi tutti gli altri. Il tifoso romantico aborrisce l’idea: il ciclismo è del popolo, è sempre stato gratis e tale deve rimanere. Dall’altra parte, però, chi si mette nei panni di un organizzatore capisce subito che una gara non è sostenibile se non ti chiami Tour de France o Giro d’Italia. Lo diceva qualche mese fa anche Pierre-Yves Thouault, vicedirettore del Tour: «ASO guadagna solo col Tour e con le corse appaltate in Medio Oriente (AlUla Tour e Tour of Oman, ndr)». Anche un evento storico e affascinante come la Parigi–Nizza, per esempio, nasce con la consapevolezza di non avere un ritorno economico pari ai costi.
La fortuna del ciclismo italiano — ed europeo in generale — è che esistono ancora organizzatori e sponsor appassionati che continuano a investire. Ma i costi aumentano per tutti, ed è normale cercare soluzioni innovative per mettere un po’ di fieno in cascina e non fare tutto a fondo perduto. Filippo Pozzato, con il progetto Ride the Dreamland, il Tisa Party e le vip experiences, porta avanti questa idea da diversi anni — anche se il dibattito si è acceso solo questo autunno — e sorprende che sia praticamente l’unico a voler guadagnare qualcosa organizzando gare. «Se la corsa passa sotto casa mia devo pagare un biglietto?» è la domanda circolata sui social. Ovviamente no: il ciclismo è e rimarrà gratuito. Ma allestire aree riservate e comode, a pagamento, in punti cruciali del percorso, appare legittimo se ci si mette nei panni di chi per mesi si arrabatta per far quadrare tutto. Poi sta all’organizzatore posizionarle nei punti giusti, preferibilmente in un circuito per permettere più passaggi, attrezzarle bene e soprattutto attirare le grandi star per cui valga la pena aprire il portafoglio.
Nelle Fiandre lo si fa già con grande successo: tutto va sold out in pochi giorni, sia per le corse su strada (biglietti da 130€ fino alle vip experiences da oltre 4000€) sia per gli eventi collaterali. E anche nei Grandi Giri, sotto forma di hospitality, accade lo stesso. Una parte del rettilineo d’arrivo di ogni tappa della Corsa Rosa ospita zone riservate agli invitati, soprattutto sponsor, ma accessibili a tutti acquistando i pacchetti dei tour operator presenti sul sito.
Un altro esempio arriva dal Canada: i Grand Prix Cyclistes di Québec e Montréal, che abbiamo avuto la fortuna di vedere da vicino lo scorso settembre. Parliamo di corse nate nel 2010, senza la storicità del Giro delle Fiandre, ma capaci di creare un modello vincente. È vero, ogni anno portano corridori come Tadej Pogačar e Wout Van Aert — e questo aiuta — ma riescono comunque a coinvolgere circa 250.000 persone. Tutto il circuito (da ripetere tra le 15 e le 18 volte) è libero, tranne una parte sul rettilineo finale riservata a chi acquista il pass VIP. Costa 500 dollari (circa 300€) e include buffet con vista sull’arrivo e due giri in macchina dietro il gruppo o la fuga. C’erano 1000 posti per Québec e 1000 per Montréal, andati esauriti. Significa che gli organizzatori, grazie agli appassionati, hanno incassato un milione di dollari (oltre 600.000 euro). In Italia, con quella cifra, organizzi due o tre classiche di ottimo livello.
Naturalmente parliamo di Paesi — Belgio e Canada — con culture diverse dalla nostra: i primi hanno il ciclismo nel sangue, i secondi sono più propensi a vivere un nuovo evento come un grande show. «La serie Netflix sul Tour de France ha dato un’enorme spinta qui: la gente è disposta a pagare pur di vederlo» ci hanno raccontato. In Italia, per fortuna, non serve Netflix per comprendere il fascino di questo sport.
Detto ciò, demonizzare chi prova a guadagnare organizzando gare ciclistiche lo riteniamo ingiusto. Se aumenta la qualità dell’evento, ne beneficiamo tutti: organizzatori, tifosi e media. E dare una mano pagando un biglietto da 10–15€ per godersi la corsa in modo meno spartano — soldi che, a ben vedere, servono più ad addolcire la pillola agli organizzatori che a ripagare l’evento — non può essere considerato scandaloso. Il 99% del percorso rimarrebbe comunque libero e gratuito, e ognuno potrebbe scegliere liberamente come vivere la corsa. Come sempre è stato.