Della vicenda Astana si potrebbero scrivere tantissime cose, incominciando a dire che questa storia non coinvolge solo il team kazako, ma mette in guardia l’intero movimento, che invece - come al solito - mostra tutti i propri limiti, ritenendo che è bene pensare solo e soltanto a casa propria e chissenefrega degli altri. Se una squadra chiude, è meglio per tutte quelle che resteranno aperte, non capendo o facendo finta di non capire che oggi tocca ai kazaki e domani chissà.
Della vicenda Astana potrei dire che se l’Uci voleva dimostrare al mondo che l’indipendenza della Commissione delle Licenze non era solo un modo di dire, ci è riuscita a pieno. Ora lo sappiamo, grazie anche ad un uomo tutto d’un pezzo come il presidente Zappelli. Se poi l’Uci voleva dare un messaggio a tutta la truppa, per la serie “da oggi è finita la ricreazione, non si scherza più”, il messaggio deve essere arrivato a destinazione forte e chiaro.
Della vicenda Astana ho però anche compreso che non è la formazione capitanata da Nibali ad essere inadeguata - come del resto l’Istituto di Scienze dello Sport di Losanna ha fatto comprendere all’Uci, e per questo ha chiesto l’intervento della Commissione delle Licenze - ma è l’ISSUL che non aveva la benché minima idea di quello di cui si stava parlando. L’Issul avrebbe dovuto indagare con i suoi audit sull’etica nel ciclismo, sulla gestione dei team di World Tour per capire se erano in grado di fare il loro mestiere e di prevenire nonché combattere il doping al proprio interno. Da istituto di sociologia avrebbe dovuto raccogliere informazioni utili a creare un panel che sarebbe servito a quei team o a quegli sponsor interessati a fare il grande salto nel ciclismo di massimo livello. Per la serie: cari sponsor, per fare un certo tipo di ciclismo, occorrono un budget e questi requisiti. Invece, le audizioni d’indagine sociologica hanno assunto pieghe di stampo giudiziario, tanto da arrivare ad inviare agli interessati (avrebbero dovute essere ascoltate tutte le squadre, in pratica ci si è fermati alla sola Astana) mail di fuoco, intimando ai propri interlocutori di fornire risposte precise quando loro per primi si sono dimostrati incapaci di fare domande appropriate o di intendere le risposte ricevute. Cosa pensereste voi se vi chiedessero: come si fa ad allenare corridori di paesi diversi contemporaneamente se sono tutti molto lontani dalla sede della squadra? Cosa pensereste se il vostro interlocutore rimanesse stranito del fatto che spesso, molto spesso, i corridori non hanno un luogo deputato per allenarsi, e sostengono giorni di ritiro mirati con parte del team solo in determinati momenti della stagione? E se vi chiedessero di fornire i file di allenamento dei vostri corridori ma fossero incapaci di analizzarli perché sprovvisti di programmi software che consentano di aprire i suddetti file, quale sarebbe la vostra reazione? E se vi accusassero di fare troppe telefonate ai corridori, quando sono a casa, violando in questo modo la loro privacy, dopo però avervi chiesto di fornire dati molto sensibili, come quelli del passaporto biologico?
Quello che si sa, quello che da tempo si discute nei corridoi di Aigle, è che l’Uci di Cookson vorrebbe introdurre nei prossimi mesi un regolamento che, in caso di positività, consenta agli organi competenti di andare ad analizzare le metodologie di allenamento dei corridori trovati positivi. Bene, ma mi chiedo: se si arriva a fare questo tipo di ragionamento è perché si è convinti che allenarsi troppo porta al doping? Oppure che solo con il doping ci si può allenare tanto? Bene. E le corse? L’Uci renderà in un futuro prossimo anche le corse meno dure? Toglierà salite e pavé? Renderà il ciclismo uno sport per tutti, incapace di toccare l’immaginazione collettiva?
La vicenda Astana ci ha fatto chiaramente comprendere che il presidente Cookson vuole che si cambi rotta, e credo che abbia ragione, ma lo dovrebbe fare evitando di esporre al ridicolo il nostro sport. L’amico e collega Luca Gialanella recentemente ha invitato i responsabili dei team di Wolrd Tour a far pulizia al proprio interno. «Perché non sfruttare l’occasione e partire con un nuovo ordine? - si domanda sulla Gazzetta del 25 aprile scorso -. Soltanto l’Astana ha professionisti che hanno lavorato negli anni bui? No di certo. Volete l’elenco? E allora, se non vogliamo fare retorica a ogni occasione, obblighiamo tutti i team a ingaggiare medici, specialisti, meccanici, direttori sportivi senza macchia. Qualcuno resterà senza lavoro? Pazienza». È una proposta. È un’idea. Se poi tanta gente - e sarebbe davvero tantissima, perché tutti provengono da un certo tipo di ciclismo - alla fine restasse senza un lavoro, pazienza. Ma visto che ho pazienza da vendere, ma anche un pizzico (non tanto) di memoria, ricordo anche che Cookson, non appena eletto, aveva promesso di fare pulizia nelle stanze del suo palazzo di Aigle, dove vagano ancora funzionari che hanno consentito e permesso in un recente passato a Lance Armstrong di fare quello che ha fatto, con l’assoluta protezione del governo mondiale della bicicletta. Vi ricordate che istituì anche la Commissione indipendente per la riforma del ciclismo (Circ)? Sei mesi di lavoro, 174 testimoni ascoltati, una relazione conclusiva di 274 pagine ricca di banalità e cose risapute, per altro costata, a quanto pare, la modica cifra di tre milioni di euro. Con questa relazione la Federazione internazionale avrebbe voluto stabilire una sorta di «punto di ripartenza» in uno sport travolto da vent’anni di scandali a sfondo non solo dopante, con Verbruggen e Mc Quaid sul banco degli imputati. Bene, ma chi ha svolto il lavoro per questi due massimi dirigenti è ancora lì a fianco di Cookson.
Ultima domanda, poi mi taccio. Cosa potrebbe dire l’ISSUL, maestrino di etica, se venisse a sapere (e lo sa) che il figlio di Cookson da anni è nello staff del team Sky? Questo non è un problema?
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