L'ORA DEL PASTO. BICI DI VERITA'

STORIA | 08/12/2016 | 08:12
“Senza farselo chiedere una seconda volta, Diverio decide di tentare l’impresa. Si fa dare tutti i permessi del caso dal Comando inglese, recupera una sgangherata bicicletta e raggiunge Unterluss in un viaggio pieno di pericoli”.

Paolo Diverio, maggiore, veniva da Stresa: durante la Seconda guerra mondiale era stato fatto prigioniero ed era scampato ai lager. Quando seppe che Giuliano Nicolini, suo amico e compaesano, era morto, sfidò la sorte per conoscere la verità. Trovò il luogo, riconobbe l’amico dalla sciarpa e dal passamontagna, scrisse una relazione e la lasciò in una bottiglia, improvvisò una croce con due pezzi di legno. Finita la guerra, la Croce rossa internazionale recuperò il corpo di Nicolini, il funerale si celebrò nel 1950, e ora la tomba si trova nel cimitero di Stresa.

E’ una delle mille storie di quei 44 ufficiali Imi (Internati militari italiani), fra cui Nicolini, che sfidarono i nazisti rifiutandosi di collaborare in qualunque modo. Una resistenza a oltranza, morale e fisica, oltre l’immaginabile, oltre il possibile, oltre l’umano. Andrea Parodi ha scritto “Gli eroi di Unterluss” (Mursia, 216 pagine, 16 euro, prefazione di Aldo Cazzullo) attraverso testimonianze scritte e orali, documenti e archivi, per fare luce, e dare onore, a chi si era dichiarato volontario per sostituirsi a 21 compagni scelti per la decimazione, poi fu deportato in un campo di concentramento e costretto a privazioni e sofferenze folli.

La sgangherata bicicletta di Diverio è mezzo di verità, messaggera di speranza, strumento di fratellanza. In altre circostanze è stata simbolo di fuga, ma anche di libertà e ribellione. La bici dei partigiani, come Alfredo Martini, Vittorio Seghezzi e Renzo Zanazzi. La bici dei postini di pace, come Gino Bartali. La bici dei reduci, come Fausto Coppi. La bici dei fuggiaschi e degli evasi, come Alfredo Pasotti. O, risalendo alla Prima guerra mondiale, la bici del guerriero, come Enrico Toti.

Oggi nel ciclismo, come in tutto lo sport, è rimasto un certo linguaggio bellico:
quando la corsa si accende, è agguato, battaglia, guerra; chi va in fuga, è un guastatore; l’auto del direttore sportivo è l’ammiraglia; la vittoria è nel mirino, nella borraccia c’è la bomba, lo scatto è un attacco, e lo scatto decisivo è una fucilata. Ma la bicicletta vale sempre il Nobel per la pace.

Marco Pastonesi
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