CASARTELLI. Peron: Vi racconto il mio Fabio

STORIA | 09/07/2016 | 07:04
Tra pochi giorni, il 17 luglio, andrà in scena la Mediofondo Casartelli che vedrà la partenza da Albese con Cassano. Sarà un momento importante per ricordare Fabio, campione olimpico nel 1992.Alla vigilia di questo appuntamento, chi meglio di Andrea Peron può raccontarlo nel modo più bello, vale a dire con gli occhi dell’amicizia?
Lasciamo allora che sia proprio Andrea ad aprire il cassetto dei ricordi per un ritratto inedito di Fabio Casartelli.

«Ricordo una persona estremamente solare - racconta Peron: aveva sempre la battuta pronta per tutti, era un asso nello sdrammatizzare le situazioni. In corsa parlava con chiunque, per sapere cosa succedeva in gruppo. Mi ricordo di alcune occasioni in cui ad un atleta non andava bene la gara e lui lo rincuorava, magari buttandola sul ridere. Un tipo molto tranquillo e socievole, divertente e divertito».

Un’amicizia nata tra i dilettanti e rafforzata tra i professionisti.
«Eravamo compagni di squadra alla Motorola, gli unici due non americani in un team totalmente statunitense. Non era così facile in quegli anni vedere italiani all’estero: allora il movimento esprimeva tanti team nella nostra nazione e noi eravamo una rarità. Venivamo visti come se fossimo tipi strani o audaci per via di quell’inusuale esperienza all’estero. Abbiamo avuto il coraggio di andarci: io parlavo inglese, lui pochissimo ma si lanciava subito nella comunicazione».

Un’amicizia nata fin dalle categorie giovanili.
«Ci siamo conosciuti da dilettanti, in nazionale e poi alle Olimpiadi. Nel 1992 è sbocciato con tante vittorie che gli son valse la convocazione azzurra per i Giochi Olimpici e poi riuscì a firmare una vittoria straordinaria. Anche se al passaggio tra i prof ha patito, ma sono tanti i giovani che impiegano 3-4 anni ad adattarsi alla nuova categoria e a trobare la loro dimensione. Non era scalatore, io ero più passista di lui. Gli mancava lo spunto veloce da volata di gruppo e non aveva la tenuta in salita. Nelle fughe invece era un vincente, fondamentale anche il suo lavoro a favore della squadra».

Cosa vi univa in modo particolare?
«La semplicità. Io sono una persona semplice e schietta. Forse solitario. Tendo a star bene con le persone non eccessivamente esuberanti o egoiste. Difficile spiegare con poche parole cosa ci legava. Ci intendevamo, era paziente. C’era feeling, in più coetanei e con la stessa passione».

Qualche aneddoto di corsa?
«Ricordo tanti aspetti del Tour del 1995 in cui vestivamo la stessa maglia. Ci dicevamo: dobbiamo essere nelle fughe. E non ne beccavamo mai una. Poi ce l’ho fatta io, sul Massiccio Centrale: era il 14 luglio, si arrivava a Mende, vinse Laurent Jalabert ed io fui quarto. La sera Fabio venne da me e mi disse che eravamo stati fortunati ad azzeccare quell’azione, altrimenti il team manager ci avrebbe mandato a casa in bici...».

Pietro Illarietti
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