PAUSA CAFFE'

TUTTOBICI | 17/01/2016 | 07:33
E adesso sono proprio curioso di vedere che cosa ci inventeremo per mettere in fuga al più presto anche la Segafredo. Noial­tri del ciclismo abbiamo un talento straordinario, in questo genere di imprese: fatichiamo come bestie ad attrarre sostenitori ricchi e appassionati, meglio, appassionati e ricchi, ma poi ci mettiamo su­bito all’opera per mortificarli e farli pentire. Quanta gente disincantata e delusa, anche se assolutamente integra nella passione, ho conosciuto in que­sti anni. Non è certo il ca­so di aprire il libro delle singole cause, ci si capisce al vo­lo, ma resta il fatto che lo sterminio di amici, sostenitori e simpatizzanti si è rivelato spietato. Adesso, per favore, sa­rebbe il momento di voltare pagina. Se possibile.

Con gli sponsor il ciclismo ha sempre ciondolato tra grande amo­re e grande tradimento. Il grande amore nasce dal fatto che come sport non ha praticamente incassi, dunque per forza o per amore deve contare sull’appoggio di qualche vo­lonteroso. Non è un caso che la sponsorizzazione sportiva moderna nasca proprio con il ciclismo. Siamo sempre avanti, nonostante questa sia la disciplina della storia e del­la tradizione. Assieme all’amore interessato, ecco però nascere subito anche il pudore schizzinoso di chi forse accusa un inspiegabile senso di col­pa: nascono le battaglie per mascherare, attenuare, na­scon­dere la presenza dello sponsor, quando non nascono addirittura le crociate (fintamente) idealiste contro la co­siddetta “invadenza” dello sponsor. Non ne parliamo quando nasce la tv commerciale: la deriva pubblicitaria viene vista come l’acido negli occhi, oddio quante inquadrature marchettare, oddio quante interruzioni con questi ma­ledetti spot, oddio quanta vergogna per i sani valori dello sport.

Una meraviglia: uno sport che vanta al suo attivo ogni genere di bieca mercificazione (non si contano corse e corridori comprati e venduti), uno sport che vende persino l’anima al doping, sulla questione pubblicitaria improvvisamente scopre il purismo delle anime belle. Lasciamo perdere. Per fortuna, da un po’ di anni - complice la salutare lezione della crisi - non si incontra più in giro un solo schizzinoso: lo sponsor viene visto co­me una specie di messia che da solo possa risistemare le di­sastrate faccende sociali. Pec­cato che nel frattempo, per tradimenti chimici e per trattamenti cafoni, ne abbiamo persi per strada tantissimi. E pure bellissimi.

Benvenuto allora mille volte al caffè Sega­fre­do, che nonostante tut­to è riuscito a far prevalere l’indubbio appeal di uno sport intramontabile, lasciandosi conquistare da questo strano incantesimo che riversa sulle strade milioni di persone, chi guardando, chi pedalando, chi guardando e pedalando. Assieme ai Lampre e agli Androni, ai Mediolanum e agli Astoria, la buona tazzina arriva a ingrossare il pacchetto degli sponsor italiani non tecnici, impegnati nelle forme e nei modi più diversi, ma comunque tutti ugualmente interessati alle emozioni almeno quanto al business. Teniamoceli stretti. Dob­bia­mo coccolarli, se serve. Ov­via­mente nei limiti dei rispettivi ruoli. Però andiamoci piano con la poesia: in tutti gli sport, bene o male, comanda il padrone. Basta chiedere ad Allegri e a Mihailovic chi co­manda a Torino e a Milano. In fondo, il ciclismo è uno dei pochi sport dove il vero pa­drone - lo sponsor - non co­manda nulla, o comunque mol­to meno di quanto gli spetterebbe. Il vero problema è tornare ad attirarne tanti, con la ripresina di questa congiuntura. Dopo Segafredo, al­tri sono attesi a braccia aperte. Con il sogno nemmeno tanto nascosto che il grande made in Italy dei costruttori e del personale tecnico torni fi­nalmente a promuovere l’Ita­lia e i suoi prodotti, cancellando quanto prima questa sinistra piega che ci vede colonizzati e deportati come i ne­gri delle tratte. Sarò molto cu­rioso, nei prossimi mesi: dobbiamo tutti capire se stavolta facciamo prima ad attirare nuo­ve aziende o a mettere in fuga anche la prima arrivata.

Cristiano Gatti, da tuttoBICI di Gennaio

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