ARMSTRONG. «Corridori, potete contare solo se compatti»

DOPING | 05/12/2014 | 07:52
La rivista inglese Rouleur nel suo ultimo numero, in edicola in questi giorni in Inghilterra, ha dedicato un ampio e interessante servizio a Lance Armstrong. Il giornalista danese Morten Okbo ha trascorso con il texano tre giorni ad Aspen, parlando a fondo con lui tra ipocrisia, accusatori, recriminazioni e rimorsi e immortalandolo, grazie alla macchina fotografica di Jakob Kristian Sorensen, nella vita di tutti i giorni, ma anche mentre fa fare dietro moto a Tejay van Garderen o si allena in bici con lui. Oggi vi proponiamo la terza e ultima puntata.

CICLISMO. «Ci sono almeno un paio di cose che andrebbero fatte per far funzionare meglio questo sport. Per prima cosa, i corridori dovrebbero far sentire la loro voce. Non sono uniti, non riescono a prendere una posizione comune. Dovrebbero poter dire: facciamo questo, non facciamo questo. Imporsi. Se viene presentata una tappa di oltre 200 km in montagna, seguita da tre ore di trasferimento per un hotel di merda e una cena francese schifosa, il gruppo deve potersi rifiutare. Ci sono tante organizzazioni che ruotano attorno ai ciclisti: UCI, RCS, ASO, Bugno e la CPA, la AIGCP e tante altre che secondo me sono semplice fumo negli occhi. Penso a un patto concreto, di cui i ciclisti dovrebbero essere parte importante per proteggere i loro interessi, la loro salute, la loro sicurezza. Uno sport serio deve funzionare così. Il tennis, la Formula 1, il football americano fanno così ma capisco che per il ciclismo sia difficile da organizzare perché coinvolge così tante nazionalità, lingue, culture e interessi. Ci dovrebbe essere un investimento comune per i corridori anche per quanto riguarda la lotta al doping. Se fossero uniti, sarebbero i primi a richiamare chi prova a sgarrare. Vogliamo parlare infine delle squadre? Che gioco stanno giocando? Il fatto che un lunatico magnate come Tinkov possa comprare ed essere il proprietario di un team e così qualsiasi altra persona danarosa possa entrare nel sistema e avere un ruolo importante in esso per poi abbandonarlo da un giorno all’altro, non mi sembra un gran meccanismo. Per come funziona ora, non è che sei alla guida del Manchester United, dei Dallas Cowboys o degli Yankees. Non hai nulla, se non un groviglio di bici vecchie, un pullman, un paio di camion e delle maglie sgualcite. Questo è il vostro capitale al momento».

ASO. «La ASO dovrebbe cedere parte delle sue quote: possiede il Tour e la Vuelta, si dice in giro stia comprando anche il Giro d'Italia. Se così fosse, manca solo che tutti si pieghino e tirino giù i pantaloni. Non conosco i numeri nel dettaglio, sono aziende private, ma tutti gli sponsor globali che coinvolgono, il ricavato del merchandising e quant’altro dovrebbero essere suddivisi tra più parti. Non avrebbe senso altrimenti pagare 20 milioni di dollari per mettere in piedi una squadra. Pensate agli altri sport, alla Premier League per esempio. Se acquisti un team ricevi 200 milioni all’anno solo di diritti tv, dritti nelle tue tasche, anche se non hai la squadra più forte del circuito. Detto questo, sia che ASO capisca o meno quello che sarebbe fare per il bene dell’intero movimento, va ricordato che senza gli attori questo benedetto film non può essere girato».

DOPING. «Ci sono le regole ufficiali e quelle non ufficiali o non dette, che andrebbero seguite, ma se domani ci fosse la nuova droga XYP che non viene rintracciata ai controlli antidoping sappiamo bene cosa succederà, giusto? Tutti la userebbero, ben consapevoli di mettere a rischio il nostro sport. La prima polizia dovremmo essere noi. Dovrebbe esserci una certa cultura interna allo sport. Una sorta di codice d’onore. Se per esempio un corridore in un mese ha un miglioramento evidente e agli occhi di tutti è chiaro che stia facendo ricorso al doping, potresti dire tranquillamente: “so cosa stai facendo, stai fottendo il nostro mestiere e il nostro mezzo di sostentamento”. Mi rendo conto che non è la soluzione perfetta, ma sarebbe un inizio. E se l'azienda ciclismo potesse sorvegliare se stessa in questo modo, non avrebbe senso avere una terza parte, come nel mio caso, che entra a gamba tesa e cerca di controllarla. Questa è un’idea. L'unico problema per realizzarla concretamente è mettere d’accordo un migliaio di corridori ignoranti come se fossero un'unica entità. ASO dovrebbe capire che gli atleti non piccole pedine in mano loro, ma dei veri e propri partner».

3 - fine

già pubblicate
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Giulia De Maio
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COMMENTI
diritti umani
5 dicembre 2014 11:55 siluro1946
I ciclisti professionisti, devono rivolgersi alla Corte dei diritti dell'Uomo,
per essere trattati come tutti gli altri atleti. Quelli dell'Astana, probabilmente, speriamo di no, resteranno disoccupati per colpa di 2 loro compagni,e a tal proposito mi chiedo se due calciatori venissero trovati positivi la loro squadra verrebbe esclusa dal campionato? Le responsabilità sono, e devono essere individuali.

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