L'ORA DEL PASTO. ADDIO A TONI BAILETTI, L'UOMO CHE SAPEVA SORRIDERE E RIDERE

LUTTO | 07/09/2025 | 21:49
di Marco Pastonesi

E’ morto Toni Bailetti. Aveva già vissuto due volte, la terza non ce l’ha fatta. E’ successo oggi verso le 15. Avrebbe compiuto 88 anni il 29 settembre.


Olimpionico a Roma nel 1960, Toni (nessuno, tranne all’anagrafe, l’ha mai chiamato Antonio): diciamolo subito, quel titolo – quartetto della cento chilometri – era così brillante e imponente, avete presente la Madonnina in cima al Duomo di Milano? ecco, da oscurare tutto quello che sarebbe riuscito a raggiungere e collezionare dopo. Con i lombardi Ottavio Cogliati e Giacomo Fornoni e il laziale Livio Trapè, Toni era volato sulla Cristoforo Colombo, andata e ritorno, in una edizione in cui stradisti e pistard azzurri avevano dominato la scena (oggi, di quelle frecce tricolori a pedali resistono Marino Vigna, Livio Trapè e i due ori del tandem, Sergio Bianchetto e Beppe Beghetto).


Aveva cominciato a pedalare da garzone in una panetteria, Toni, su una di quelle bici pesanti come cancelli, portapacchi anteriore e posteriore, consegne qui e là, possibilmente in velocità. Fu il padrone della panetteria a regalargli una bici da corsa, modello antico, cambio Campagnolo con le bacchette dietro, ed era la sua bici, una Gitan, piacentina di Caorso. Gran bel gesto. Ma c’era un inconveniente: il padrone era alto uno e cinquanta, Toni uno e ottantadue. E su quella bici da corsa, a ogni pedalata le ginocchia gli sbattevano in bocca.

Professionista dal 1961 al 1969, sempre in squadroni (Bianchi, Carpano, Sanson, Salvarani, Faema), Toni conquistò diciassette vittorie (due tappe al Giro d’Italia, due al Tour de France, quattro al Giro di Sardegna, il Trofeo Laigueglia, la Genova-Nizza…). Non digeriva le salite, ma sul passo era un fenomeno e in volata sapeva distinguersi. Il lavoro da gregario, poi diventato mestiere se non missione, gli tarpava le ali. E un po’ forse contribuì anche il carattere: buono, generoso, allegro, ben sapendo che per vincere bisogna invece essere egoisti, cattivi, ombrosi e magari anche un po’ falsi. Non era roba per lui.

Era roba per lui il raduno delle vecchie glorie a Turbigo. Organizzava tutto Toni, dalle iscrizioni al banchetto, l’appuntamento più atteso era la cronocoppie in cui chiamava a raccolta tutti i suoi amici, dal Maestro (Fornoni) al Luisìn (Arienti), da Stefanoni a Fezzardi, da Cogliati a Vigna, da Zanazzi a Motta, anche i crossisti e i pistard, perfino i giornalisti, chi c’era c’era, l’importante era prendersela comoda, divertirsi e non soffrire, “il segreto è andare agili – spiegava – la gente vede frullare i pedali e non capisce se vai a trenta o a cinquanta all’ora”.

Sapeva sorridere e ridere, Toni. Quando raccontava del premio olimpico, una Fiat 500 blu, che tenne, la somma di 250mila lire, che versò come caparra per l’appartamento, e una medaglia d’oro, che più tardi avrebbe scoperto (che delusione!) composta di vermeil. Quando raccontava della prima lezione ricevuta, docente Ercole Baldini, tema la fuga: “Giovanotto, ricordati che tu devi andare in fuga quando andiamo tutti a tutta, non quando si va piano, sennò fa’ il piacere di stare in gruppo”. Quando raccontava di come, all’assalto dei bar per impadronirsi di qualsiasi genere di bibita, aveva imparato che l’importante era seguire Germano Barale: “Prima di entrare, sapeva già dove fosse il frigorifero”. Quando raccontava di aver fatto uno scambio di premi conquistati al Giro d’Italia proprio con Barale: “Germano aveva vinto due settimane di soggiorno per due persone in una località turistica, io una pecora”.

La prima vita di Toni si era conclusa al Vigorelli, decollando dalla pista, centrando un palo e finendo in coma. Era il 1969. Carriera conclusa, ma resurrezione e seconda vita. E per esorcizzare la paura, era capace di riderci su. La seconda vita si era esaurita tre anni fa, una banale caduta a casa, da cui non si era più ripreso. Ricoverato in una Rsa a Turbigo, aveva ancora momenti di lucidità in cui riconosceva la moglie Yvonne, il figlio Davide, il fratello Giorgio e la sorella Silvana (Sergio, l’altro fratello, è morto tre anni fa), il nipote Paolo (sei anni da professionista, meno vincente). Loro e anche noi, adesso, senza Toni, tutti lasciati a piedi.

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