| 11/05/2011 | 20:36 Caro Direttore, ho letto sul sito il commento di Cristiano Gatti su quanto da me scritto su Repubblica l’altro giorno a proposito della tragica morte di Wyelandt. Premetto che stimo e apprezzo il collega Gatti, ma alle volte proprio non lo capisco.Forse Gatti confonde: non intendevo certo fare la morale a nessuno, ma solo esprimere un’opinione e cioè che fosse importante per il ciclismo dare un segnale forte, più forte dell’umanissimo e pur apprezzabile funerale collettivo. Un segnale di frattura netta che indicasse un VERO cambiamento. Cosa conta di più: la vita umana? Si? Ebbene, facciamolo capire chiaramente. Fermiamoci un attimo. Riflettiamo fuori dalle emozioni. Costi quel che costi. Il funerale di 200 e passa chilometri va benissimo per sottolineare alcune valenze certamente importanti e presenti nel mondo del ciclismo, come l'umanità, la vicinanza, la solidarietà per chi è colpito dalla sciagura, che è commovente, toccante perfino, ma fa troppo comodo al cosiddetto carrozzone e a chi organizza che così non fa il minimo sacrificio (i soldi della tappa), anzi ne approfitta per ridarsi una pennellata di bianco. Non fare la tappa sarebbe stato un gesto forte, certo, ma proprio per questo avrebbe rappresentato davvero un momento di frattura e di rottura col passato. Invece il funerale di 5 ore è servito ANCHE se non soprattutto per far dire ai tanti che per anni hanno messo la testa sotto la sabbia di fronte ai problemi del ciclismo (doping e dintorni…), per non dire peggio: "ecco, questo è il vero volto". Se lo sarà davvero ed io lo spero, lo vedremo. Ma – questa la mia opinione – mi pare che si sia apporfittato un po’ troppo della nostra commozione (anche la mia…: ho avuto un fratello di 25 anni, pilota aereo perito in una missione antincendio).E mi pare che i due piani: la drammatica morte di un giovane e l’esigenza di ridare immagine al ciclismo, strapazzato dai mille scandali, non siano grandezze commensurabili. In altre parole mi pare che si sia è sfruttata la morte di Weylandt ANCHE per altri fini. Cosa davvero poco nobile.Quanto a cambiare sport stia tranquillo Gatti, il mio motto è "gli altri passano, Capodacqua resta". Fermo restando che il fatto che non ci sia aria pulita altrove non è certo una consolazione per il povero ciclismo di oggi. E tantmeno un motivo per mollare.Anzi. Più che il ciclismo che amo e pratico, e per questo mi batto perché possa ritornare ad avere un ambito più umano, mi fa nausea un certo giornalismo che per anni ha coperto – complice – finti o presunti campioni, incensando medici dopatori come fossero scienziati; facendo finta di non vedere cose e situazioni sotto gli occhi di tutti; salvo poi scandalizzarsi e bacchettare quando l’evidenza dei fatti diventa tale da non poter essere più nascosta.
Con il suo solito stile, preciso e garbato il Dr. Capodacqua ha risposto ottimamente ad un articolo di Cristiano Gatti, decisamente”raffazzonato” e sterilmente polemico, che di ottimo non aveva proprio nulla.
Ha ragione Eugenio Capodacqua quando parla del funerale del povero Weylandt come di un’occasione buona ANCHE per “ridarsi una pennellata di bianco”.
Ma si sa…… così come ci sono ciclisti e Ciclisti, così ci sono giornalisti e Giornalisti.
Però, almeno nel proprio lavoro, si può far molto per migliorare……
Bartoli64
11 maggio 2011 23:23
Mmmmhhhh mumble mumble, ho giusto l’archivio di Repubblica e non trovo un solo articolo, prima del 5 giugno 1999, di Capodacqua che esprima non dico un sospetto ma anche solo un piccolo dubbio, un sospiro sulle imprese di Pantani, che ne so? Un “ è vera gloria?”, un “ non saranno un po’ stupefacenti e sulfuree queste imprese del Panta?”.
Eppure si conosceva sin dal 1996 il dossier Donati, che è del 1994, su Conconi e la sua equipe. Ma, caspita, io vedo solo articoli entusiasti, fino al 4 giugno 1999, il iorno dell'ultima impresa di Marco.
Il giorno dopo, Capodacqua, novello Saul sulla via di Campiglio, inizia, appunto, a scandalizzarsi e bastonare, Pantani diventa campione tra virgolette, una mozzarella di bufala,via. E Capodacqua un Torquemada che brucia sul rogo il dopato d’Italia.
Come? Esattamente come il comportamento stigmatizzato da Capodacqua? Ma no,finale shakespeariano, invero, Capoacqua è uomo d'onore. Non parlo, no, per smentire ciò che Capodacqua disse, ma qui io sono per dire ciò che io so. Tutti lo amaste una volta, né senza ragione: qual ragione vi trattiene dunque dal piangerlo? Scusatemi, il mio cuore giace là nella bara con M. e debbo tacere sinché non ritorni a me.
Ah, non solo gli altri se ne vanno e Capodacqua resta, anche certi personaggi Coni restano, sin dai tempi di quel processo a Ferrara....
11 maggio 2011 23:45
Ma, ripensandoci, trovo veramente inaccetabile quanto afferma Capodacqua. L'uso della morte di Wyelandt per dimostrare che il ciclismo ha un vero volto diverso dal doping? Ma è esattamente così. Il bellissimo articolo di Gianni Mura oggi su Repubblica esprime esattamente la verità, è miope d'occhio e di cuore chi nei ciclsti vede solo i valori ematici e riduce il loro spessore a quanto sono pieni.
Anche Achille e Ulisse erano dopati ( mica combattevano ad armi pari con gli altri no?) eppure erano cari agli dei. E' questo che fa paura ai Torquemada, che i ciclisti siano così umani, così troppo umani, così irriducibili allo schema semplice del dopato, baro, imbroglione, asini diventati, per pura capacità di miscelare loro stessi col doping, Pegasi alati. Che il doping non li salvi dalla vita, dalla depressione, dalla fragilità, dalla durezza dei giudizi degli altri.
Un Mondo migliore
12 maggio 2011 09:59
Vorrei vivere in un mondo migliore.
Senza guerre, ne premi Nobel per la Pace,senza Emergency, senza Green Peace,
senza Telefono azzurro.Un mondo dove la Democrazia e' reale, dove la Politica non e' rubare.
Un mondo infine dove lo sport e' gioia e lealta.
Un mondo dove il ciclismo e' il sudore di una bicicletta tra due ali di folla.
Bene, in questo mondo vorrei che chi si autodefinisce "cretino" e chi si autoproclama paladino di chissa cosa ,se non della piu ottusa ipocrisia ,non ci fosse.
Non dico il mondo intero per carita', ma il ciclismo sarebbe migliore secondo me, senza voi due.
M.A. D'ambrosio
x Bartoli64
12 maggio 2011 10:21
esatto, ci sono e ci sono stati corridori e Corridori. ci sono Giornalisti (Gatti) e giornalisti (topi).
Capodacqua è da decenni che è un distributore automatico di sospetti, livori, rabbia nei confronti del ciclismo.
Ma lei di cosa sta parlando?
Ma capisce quello che legge?
Se vuole l'aiuto a tradurre tutta la rassegna stampa del sig. Capodacqua degli ultimi 15 anni.
Giornalisti, felini e subdoli surmolotti.
12 maggio 2011 16:05
Caspiterina!
Noto che quando c’è da dare addosso ad Eugenio Capodacqua si sollevano torme di blogger da nick pressoché sconosciuti su questo blog (che frequento ormai da anni).
Saranno i “soliti” che si nascondono dietro il doppio o triplo nickname? Mah, non posso dirlo con certezza (però la Redazione farebbe bene a vigilare perché è una maniera davvero scorretta di porre la propria opinione).
Ma veniamo al dunque, qui c’è qualcuno che dice che Capodacqua era, più o meno, un “allineato” prima dei tristi fatti di Campiglio, qualcun altro, invece, afferma che questo giornalista è da anni un distributore automatico di livori, sospetti, ecc.…… ma, insomma, mettetevi d’accordo cari signori prima di tirare palate del Vs. fango addosso ad un GALANTUOMO (perché tale è il Dr. Capodacqua).
La verità è che tutti i “sospetti” ed i “livori” che sarebbero stati sollevati dal giornalista di Repubblica (chissà perché) alla PROVA dei FATTI hanno SEMPRE trovato PUNTUALE RISCONTRO!
Riprova ne sono le numerose querele temerariamente intentate nei confronti di Eugenio Capodacqua (principalmente per diffamazione) e TUTTE puntualmente VINTE dallo stesso giornalista.
D’altro canto nessun cronista può accusare impunemente di doping un atleta senza avere delle “pezze di appoggio” in mano, però posso dire con certezza che Eugenio Capodacqua è stato il primo a voler vedere cosa ci fosse sotto quel “coperchio” dove si celavano degli improbabili “atleti-supereroi” (ufficialmente tutti sudore e sacrificio) ma che poi erano collusi mani e piedi con la peggiore farmacia proibita.
Quando le prove hanno cominciato a saltar fuori questo coraggioso giornalista ha scritto (eccome se ha scritto) tirandosi addosso tutte le ire dei “mammasantissima” dell’ambiente che, sino ad allora, avevano fatto il bello ed il cattivo tempo.
Certe prese di posizione su Capodacqua, evidentemente, sono solo cialtroneschi commenti di personaggi che, al contrario di questo giornalista d’inchiesta e di sport, hanno messo sempre la testa sotto la sabbia facendo finta, nelle migliori delle ipotesi, che il doping non esistesse (un po’ come dicono i mafiosi della mafia).
Anch’io penso che il mondo sarebbe migliore senza il certi personaggi…… che stanno dalla parte del doping e dei dopati, ma se guardano bene dal dirlo pubblicamente preferendo indossare le loro patetiche maschere da pagliacci ma che però – subdolamente – si definiscono “tifosi” (ed hanno pure il coraggio di dare degli ipocriti agli altri).
Forse il mio primo commento a questo articolo sarà pure stato “acido” (sempre meno delle parole di Cristiano Gatti) ma non certo “genuflesso” come chi – vigliaccamente - addita come il “male del ciclismo” professionisti specchiati come Eugenio Capodacqua, ma non tira mai fuori una parola che una contro una certa mentalità, ormai marcia e stra-marcia, che ha portato il ciclismo nel baratro in cui si trova ora: OLTRE TRENTA CASI (oltre 30) DI DOPING ACCERTATI NEGLI ULTIMI DUE ANNI.
Continuate pure cosi………. surmolotti!
Bartoli64
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