Una donna contro. Contro il diritto civile e la religione cattolica, contro le ipocrisie borghesi e i pregiudizi sociali, contro il perbenismo bigotto e il moralismo falso, contro le dicerie paesane e i pettegolezzi cittadini, contro il mondo del ciclismo e lo scandalismo del giornalismo, contro i totem e i tabù. Contro tutti e a tutti i costi. Anche contro e a costo dei propri figli, i primi due, quelli avuto durante il primo matrimonio.
Giulia Occhini era una donna contro. Anche contro il soprannome con cui ancora oggi è conosciuta e immediatamente riconosciuta - la Dama Bianca -, coniato da un inviato dell’Equipe, Pierre Chany, per “un montgomery bianco, a tre quarti, di lana leggera con gli alamari di seta e i bottoni di corno”. E “La Dama Bianca” è il titolo del libro di Gabriele Moroni e Franca Porciani (Mursia, 156 pagine, 16 euro). E bianca compare la dama anche sulla copertina, in un bianco e nero ricco di sfumature grigie, una fotografia di fine anni Cinquanta, sulle nevi del Sestriere, lei elegantissima come sempre, il maglione di lana bianco, i pantaloni bianchi stretti alle caviglie, i guanti bianchi, il foulard bianco a passamontagna, bianche perfino le stringhe degli scarponi e bianchi i laccetti di sicurezza agli sci. Lei, Giulia Occhini detta “la Dama Bianca”, la donna - la seconda moglie - di Fausto Coppi.
Moroni (per la parte giudiziaria) e Porciani (per la storia prima e dopo) ricostruiscono la vita di Giulia Occhini non riflessa o estratta da quella di Fausto Coppi, ma concentrando la ricerca su di lei. Lei protagonista. Lo fanno innanzitutto attraverso le sue parole, scelte da sei numeri della rivista “L’Europeo” del 1960 e tre della rivista “Oggi” del 1978. Il suo punto di vista, il suo punto di vita, la sua verità. Poi esplorano altre fonti, a cominciare dal “Giulia e Fausto” di Alessandra De Stefano, del 2011, e da “Un’altra storia di Fausto Coppi – Lettere di un figlio a suo padre” di Faustino Coppi, del 2017, senza dimenticare “La tragedia della gloria” di Jean-Paul Ollivier, del 1980. Moroni si è occupato molto anche di ciclismo, suo il “Fausto Coppi – Solitudine di un campione”, del 2009, Porciani no, però proprio la sua matrice scientifica e la sua curiosità giornalistica, oltre che la sua sensibilità femminile, hanno guidato l’indagine, il ritratto, il senso di questo matrimonio così osteggiato, così discusso, così popolare. Senza esprimere giudizi, senza emettere verdetti, quasi senza proporre commenti. I fatti separati dalle opinioni, come si rivendicava – una volta – per dichiarare il puro giornalismo.
E’ la storia di una passione travolgente: braci che, all’improvviso, divamparono in falò, incendio, apocalisse. Fausto, di una civiltà contadina, e Giulia, paesana. Fausto, di una riservatezza piemontese, e Giulia, di una vivacità campana. Fausto, di una natura malinconica, forse addirittura infelice, e Giulia, inquieta, ansiosa, “dolce e possessiva” (secondo il figlio Faustino), talvolta spregiudicata, aggressiva, sprezzante. Fausto e Giulia, tutti e due all’inseguimento di sempre nuovi traguardi, per Fausto quelli sportivi, che significavano gloria e ovviamente anche soldi, per Giulia i traguardi sembravano concretizzarsi in abiti, gioielli, auto, vacanze, simboli e stile di vita alti, sempre più alti, dilapidando beni e denari. Anche se lei stessa sapeva che la ricchezza, o l’esibizione della ricchezza, non fosse la felicità. “Mio caro – gli scriveva nel gennaio 1958 -, tutto è triste qui e le giornate sono eterne. Credo di impazzire. Se tu dovessi prolungare ancora la tua permanenza di Sud America, meglio morire che vivere così”. Melodrammatica? Probabilmente sì. “Questa casa, da me tanto amata un tempo, è simile a una tomba”. La sua vena napoletana, appassionata e appassionante. “Mi sei necessario come l’aria”.
E comunque fu vero amore. Travolgente. Così come poi sarebbe stato travagliato, infelice, maledetto. Una divina commedia, una umana tragedia.
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