
Reduce dalla scontata conferma alla guida dell'UCI, David Lappartient si presenta in sala stampa con una dichiarazione ecumenica: lo fa focalizzandosi sulla qualità dell’organizzazione del Mondiale e sulle prospettive di sviluppo del ciclismo in Africa, prima di esprimere una posizione a difesa dei valori olimpici («lo sport non può essere politicizzato») in rapporto alle tensioni che hanno impattato sulla Vuelta in termini di sicurezza dei ciclisti.
«Ci è voluto del tempo ma ora siamo qui contenti per l’alto livello dell’organizzazione e la partecipazione di 108 nazioni. Ora possiamo dire che siamo in tutti i Continenti».
AFRICA IN CRESCITA. «Non parliamo solo di corse internazionali ma anche nazionali, solo le gare possono alzare il livello, occorre un vero e proprio calendario. Non abbiamo abbastanza manifestazioni, se africani vogliono alzare l’asticella possono solo andare in Europa, oggi giorno. Daremo l’appoggio completo agli organizzatori esistenti ed alle nuove gare».
Come il Rwanda può diventare un faro per tutti gli altri Paesi?
«Questo mondiale non è una linea d’arrivo ma di partenza. C’è una strategia di grande visibilità, condividendo con il Presidente della Confederazione Ciclismo Africana la scelta. Va sottolineato il ruolo del World Cycling Center, anche con le strutture satellite come quella appena aperta qui in Rwanda, strettamente legata al centro di Paarl in Sudafrica. I risultati ottenuti dai giovani africani al recente Tour de l’Avenir ci confortano molto ed in questo quadriennio daremo impulso ulteriore alla ramificazione della struttura».
Lappartient esprime l’apprezzamento per la cura organizzativa e l’accoglienza rwandese: «Penso che l’interazione dei corridori con la popolazione sia stata evidente e apprezzata. Si vede dai sorrisi, dalle foto pubblicate dai campioni sui loro profili. Sia Mtb, gravel, e la stessa pista, pensiamo al Cairo: la maggior parte delle discipline possono essere proposte in Africa. Non possiamo portare tutti a correre in Europa...».
LA SICUREZZA. Quindi il numero 1 dell’Uci estende le considerazioni al tema caldo della sicurezza: «Il diritto a protestare non è sacrosanto e garantito, ma non deve andare a scapito dei corridori. E’ stato difficile accettare l'immagine dei poliziotti che hanno cercato di proteggere i ciclisti, mentre alcune persone li mettevano in pericolo. Chiediamo rispetto per le corse e per gli atleti».
Sport è mezzo per unire non per dividere, in riferimento ai valori olimpici: «Allo stesso modo va rispettato il diritto dei team di partecipare. Noi chiediamo la Pace, ci impegniamo e penso a quanto abbiamo fatto a supporto delle cicliste afgane, ma la neutralità politica va garantita».
Inevitabili le domande su Sylvan Adams e la sua Israel Premier Tech: «So che è qui a Kigali e dovremo affrontare le tematiche non solo riguardanti la Vuelta. Abbiamo discusso durante la corsa spagnola su come abbassare la tensione e per identificare quali siano le soluzioni per il futuro».
Eppure la Russia è stata sanzionata chiede un giornalista tedesco: «Non è accaduto perché il Paese era in Guerra, pur riaffermando che ci sono stati violazioni di valori integrato, invasioni dei territori eccetera: è stata la violazione della tregua a generare le le sanzioni».
GPS. Il gps track sperimentato al Romandia: «È chiaro che puntiamo ad avere lo stesso mezzo per ogni corsa professionistica. Si è trattato di un test, qui a Kigali è obbligatorio con la benedizione del programma SaFer. Le squadre erano preoccupate per una possibile commercializzazione dei dati, ma abbiamo dato rassicurazioni assolute: spero che si riesca a trovare soluzioni».
WORLDTOUR. E sulla annunciata fusione tra Lotto e Intermarchè: «Sono sicuro che resteranno sempre 18 le formazioni del World Tour, il numero delle squadre ProTour si è ridotto ed è un argomento da non sottovalutare in alcun modo».
Battuta finale sull’Africa: «Aiutare le federazioni di questo Continente vuol dire anche formare ogni figura, come coach e meccanici. Le conoscenze che sviluppano nella carriera sono preziose e possono essere trasmesse alle generazioni future».
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