
Vuelta. Spagna. Granada. Claudio Villa. I tre anelli di collegamento da Vuelta a Villa non sono casuali. Stravedeva per il ciclismo, il Reuccio della canzone italiana, una cinquantina di milioni di dischi venduti in tutto il mondo, quattro vittorie al Festival di Sanremo più un Festival di Napoli e due Canzonissima.
Romano trasteverino, voce tenorile, cominciò con un triciclo (“Croce e delizia di Carmelo lo stagnaro”), continuò con una bicicletta (“Acquistata non so come una bicicletta Neri, sulla quale ero riuscito a installare un portabagagli capace di contenere almeno venticinque fiaschi”, acqua minerale da vendere), e proseguì gareggiando proprio per il suo commercio (“Inforcate le biciclette, in un batter di ciglia, neanche fossimo Binda e Girardengo, eravamo arrivati alla fonte con una tale gioia che ci si poteva leggere in faccia anche al buio”). Finché pedalare si trasformò in cantare (“Cantare mi piaceva e lo facevo spesso, magari davanti allo specchio o passeggiando in bicicletta”).
Il ciclismo, dunque. “Data la mia grande passione per il ciclismo – scriveva Claudio Villa nell’autobiografia “Una vita stupenda” (Mondadori, 216 pagine, del 1987, a cura di Gianni Borgna, una copia miracolosamente riemersa in un book crossing) –, avevo chiesto al titolare della Vis Radio, Scoppa, se a Firenze conosceva qualcuno che mi potesse presentare Gino Bartali. Scoppa mi rispose di sì, dato che proprio nel capoluogo toscano la Vis aveva un distributore che era amico personale di Bartali”. Detto e fatto. “L’incontro con il grande campione fu per me, malato di ciclismo, come un traguardo raggiunto. Quando mi disse che durante la gara, nei momenti di relax, era solito cantare le mie canzoni, mi sembrò di toccare il cielo con un dito. Diventammo amici al punto che io feci da compare al battesimo di sua figlia”. Poi “le nostre strade si divisero”. Altre vite, altre strade, altri palcoscenici. “Lo rividi dopo molti anni al Vigorelli di Milano in veste di radiocronista. E nonostante il mio nome fosse ormai più popolare del suo”, Claudio Villa non è mai stato un campione di modestia, “non mi permise di salire sul palco della Rai con la scusa che le autorità non lo consentivano”.
Non c’era Bartali senza Coppi, neanche per il Reuccio. Infatti: “Sempre per la mia passione ciclistica, incontrai Fausto Coppi. Altra stoffa di campione ma anche, e soprattutto, di uomo. Completo, sublime, fenomenale”. Claudio Villa spiegava: “Il destino si accanì contro di lui, riservandogli delle sofferenze grandi quanto le sue magnifiche vittorie. E in un’Italia bigotta, che in questo pendeva sicuramente dalla parte di Bartali, non pochi furono i momenti di dolore e di disperazione che il ‘campionissimo’ conobbe, assieme a una donna stupenda: Giulia Occhini, la ‘dama bianca’. Messo all’indice da un’opinione pubblica ipocrita e bacchettona, perseguitato da un’incessante campagna di ispirazione clericale, Coppi riuscì, con la sua eccelsa classe, a stracciare tutti i suoi avversari, sportivi e non”.
Se all’inizio lo schieramento era con Bartali o con Coppi, poi divenne con Coppi o contro Coppi. Claudio Villa si schierò con: “Personalmente sono sempre stato dalla parte del ‘campionissimo’ e della sua Giulia. Quante volte mi sono recato al cimitero di Tortona (Castellania, ndr) a piangere davanti alla sua tomba, dove riposa accanto a suo fratello Serse, deceduto in seguito a una caduta al Giro d’Italia (Giro del Piemonte, ndr) immediatamente prima di imboccare il velodromo torinese. Ebbene, non c’è stata volta che non vi abbia incontrato la sua compagna, china sulla sua tomba a deporre fiori”.
Morale: “Fausto Coppi, il più grande ciclista di tutti i tempi. Eppure una propaganda becera si intestardiva a creare un assurdo dualismo tra il ‘cattolico’ Bartali e il ‘comunista’ Coppi, sorvolando oltretutto sul fatto che, se il primo poteva essere certamente definito in quel modo, Coppi, altrettanto certamente, no”. Bartaliano e coppiano, era Villa comunale.
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