
L’ultima foto, quella per sempre, si trova a due passi dall’ingresso nord di piazza Victor Bozzi, a Caucade, a sud-est di Nizza. Lui è ritratto in bianco e nero, sorridente, i capelli impomatati, la camicia pied-de-poule, una foglia di palma di bronzo sulla pietra tombale. Ancora giovane. Troppo giovane. Aveva 29 anni.
Adrien Malachie Buttafochi. Il cognome che rivela l’origine italiana. Silvius, il padre, vetturino, da Mantova. Constance, la madre, stiratrice, da Chateau-neuf-de-Contes. Charles e Joseph, i due fratelli maggiori. Il cognome replicato in diverse versioni, le doppie – per i francesi – sono sempre state un problema: Buttafocchi (come registrato su procyclingstats.com e wikipedia.com), Buttafuochi (come trascritto su bdc-mag.com), Butaffochi… Data di nascita: 18 settembre 1907. Luogo di nascita: Nizza. Data e luogo della nascita in bici: 1924, Circuit de L’Express de Lyon, per juniores, nono. Poi un quindicesimo posto ai campionati francesi per cicloamatori del 1926. Poi il servizio militare in Marocco: un paio di anni. Poi il ritorno al ciclismo: 1929. Poi finalmente le vittorie: Gran prix de la Victoire nel 1930, Marsiglia-Nizza e Nizza-Annot-Nizza nel 1932, ancora Gran prix de la Victoire e Marsiglia-Nizza nel 1933, Nizza-Tolone-Nizza nel 1934. Intanto, da gregario, il Tour de France, senza fortuna: abbandono nel 1931, fuori tempo massimo nel 1932 e nel 1933, abbandono nel 1934. Con rimpianti. Una distrazione, Tour del 1932, la Montpellier-Marsiglia, una lunga fuga, l’arrivo al velodromo, la volata lunga, le braccia al cielo mentre Michele Orecchia gli scippava la vittoria. Una disavventura, Tour del 1934, la Lilla-Charleville, una caduta e la frattura di una falange della mano destra. Eppure una grande fama di attaccante, coraggioso e lottatore. Quando si aggiudicò la semitappa Tolone-Cannes alla Parigi-Nizza del 1937, “Le Petit Journal” lo immortalò così: “Il gruppo lo ha soprannominato ‘la nonna’, sia per le sue rughe precoci, sia per i suoi modi bonari”. Buttafochi era amatissimo nella pancia del “peloton”: cordiale, leale, sincero. Merce rara. “Le sue qualità morali – scrisse “L’Auto” - permetterebbero di riconciliare il Misantropo con l’Umanista”.
Adrien Buttafochi partecipò al Giro d’Italia nel 1935. E lo cominciò alla grande. La prima tappa, la Milano-Cremona, 165 chilometri, fuga a quattro, in volata giunse terzo dietro a Vasco “Singapore” Bergamaschi e Domenico Piemontesi, davanti ad Armando Zucchini, il gruppo a quasi un minuto e mezzo regolato da “Gepin” Olmo, nono il ventenne Gino Bartali. Poi avrebbe collezionato altri piazzamenti, meno vertiginosi: undicesimo nella “sua” Mantova, decimo a Rovigo, nono a Cesenatico, sesto a Roma, nono ad Asti e a Torino, cinquantottesimo nella generale, equivalente al quintultimo posto, a quasi due ore e un quarto proprio da Bergamaschi. Correva per la Helyett, marca di biciclette, abbinata alla Hutchinson, marca di gomme, maglia verde pisello con bordini bianchi, un po’ come battitore libero, molto come luogotenente, anche guardia del corpo, di René Vietto.
Il 1937 era cominciato luminoso con quella vittoria alla Parigi-Nizza. Buttafochi sognava di tornare al Tour de France. Tre giorni prima, pronto per essere selezionato nella squadra nazionale, partecipò al Grand prix d’Antibes per onorare il club che lo aveva tesserato da giovane, il VC Azuréen. Ma durante la discesa dell’Estérel verso Mandelieu lo attendeva, crudele, spietato, inatteso, il fato. Adrien stava inseguendo alcuni fuggitivi. Prese una curva stretta per superare un altro concorrente, Jean Laugero. Non vide, non poteva vedere né prevedere, che stava sopraggiungendo, in senso contrario, la Peugeot 301 di Joseph Panzo, panettiere a Vallauris. Lo scontro fu terribile. La ricostruzione di “Le Petit Niçois”: “Seguendo il suo istinto di sopravvivenza, Buttafochi cercò di proteggersi e protese in avanti il braccio sinistro, che sotto l’effetto dell’urto quasi si staccò. Sorridente, i capelli impomatati, Tuttavia, rigettato all’indietro, cadde pesantemente a terra, privo di conoscenza”. Fu soccorso. Una grave frattura alla base del cranio, gravi ferite alla coscia sinistra e “incassato nel radiatore dell’auto un osso lungo 16 centimetri”, era quello dell’avambraccio. All’ospedale di Cannes il corridore arrivò in coma profondo. Il braccio fu amputato. Ma non c’era più altro da fare, se non trasportare Buttafochi a Nizza, nella Villa Costanza, una clinica a nord della città, dove fu dichiarato morto il 29 giugno alle 3.15. Michel Dalloni, in un bellissimo articolo in cui rievoca la vita e la morte di Buttafochi, intitolato “L’angelo custode dimenticato dal gruppo” e pubblicato sul numero 24 di “cycle! Magazine”, riporta come il giorno del funerale, il 30 giugno, c’erano anche Vietto, in lacrime, tutti i campioni regionali, autorità, personaggi, semplici e anonimi cittadini, un corteo lungo un chilometro, l’orazione funebre tenuta davanti a un bar. E il 12 luglio, nel giorno di riposo del Tour de France, i corridori giunsero in gruppo nel cimitero di Caucade per deporre mazzi di fiori sulla tomba del loro amico. Sorridente, i capelli impomatati, sembrava vivo.
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