
Tutta colpa di Blaise Cendrars: “Non c’è più che la Patagonia, la Patagonia, che si addica alla mia immensa tristezza”. Tutta colpa anche di Bruce Chatwin: “Nessun suono tranne quello del vento, che sibilava fra i cespugli spinosi e l’erba morta, nessun altro segno di vita all’infuori di un falco e di uno scarafaggio immobile su una pietra bianca”. Tutta colpa anche di Luis Sépulveda: “La Patagonia è una parte di me, del mio inventario sentimentale”, “Un paesaggio dell’anima”. Tutta colpa anche di Paul Theroux: “Quando finalmente vi arrivai, ebbi la sensazione di essere approdato al nulla, a un non-luogo”.
Tutta colpa di tre uomini in viaggio, tre uomini in bici, tre uomini in “Patagonia” (Terre di mezzo, 160 pagine, 22 euro): Francesco Frank Lotta, narratore su Radio Deejay, Paolo Penni Martelli, fotografo, e Willy Mulonia, cicloviaggiatore. Frank, Penni e Willy, “la voce, l’occhio e il cuore”: un migliaio di chilometri in un paio di settimane “ai confini del mondo”, non per raccontare un’impresa, ma per “ascoltare storie, respirare nuovi profumi, riempirci gli occhi di spazio e la pelle di vento”.
Un po’ diario e un po’ romanzo, un po’ mappe e molte foto, un po’ ciclismo e un po’ psicanalisi, un po’ memoria e un po’ filosofia, soprattutto quella miniera di ghiaccio, quello spazio orizzontale, quel tempo dilatato, allargato e allungato, quella sensazione di intensità acuita dalla solitudine e amplificata dal silenzio. E gli incontri. Come quello con Mario: 94 anni, origini trentine, fondatore di un raro e sperduto negozio di biciclette, la sua nascita costò la morte della madre, il corpo ormai schiacciato dall’età, espropriatore di terre agli stranieri per restituirle alle popolazioni locali. “Non ho mai cercato la vita, è lei che mi ha trovato. Io ero solo aperto e predisposto al cammino che Dio aveva scelto per me”. O come quello con un albero: “Non è particolarmente alto, e non sarebbe nemmeno bello se utilizzassimo i canoni consueti: la chioma è spoglia, il colore del tronco è di un marrone stanco, ma la posizione e il modo in cui si inclina al vento ti fanno innamorare. Solo in mezzo al nulla, unico e isolato nel raggio di chilometri, è al centro di una landa desolata segnata da correnti infami e costanti”.
Questa “Patagonia” ricorda a guardare e guardarsi, insegna a fermarsi e ripartire, ammonisce a respirare amore e amicizia, invita a distribuire affetto e rispetto. “La vita corre veloce”. Perfino su una bici.
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