PROFESSIONISTI | 27/12/2017 | 07:22 Tra i nomi più attesi per la prossima stagione va fatto quello di Julian Alaphilippe. Il ventiduenne francese della Quick Step Floors quest’anno è riuscito a salire sul podio sia della Milano-Sanremo (3°) che de Il Lombardia (2°) e si è messo in mostra al campionato del mondo insieme al nostro Gianni Moscon, con il quale nei prossimi anni siamo certi sarà artefice di grandi battaglie nelle corse di un giorno più prestigiose. Atleta completo e combattivo, 173 cm per 62 kg, è una delle più solide promesse del ciclismo mondiale e per il 2018 promette di suonarle di santa ragione agli avversari, con la stessa grinta e gioia con cui si sfoga con la batteria.
Julian, torniamo a Bergen. Hai sbagliato a staccare Moscon nel finale? Gianni ha detto che magari sareste potuti arrivare insieme... «Non lo so, le corse si giocano in un attimo, è difficile parlarne a posteriori. Negli ultimi chilometri della sfida iridata eravamo tutti al limite, lui non dava molti cambi, o meglio, me li dava ma non convinto, perciò ho deciso di provare da solo. All’ultimo giro avevamo 8” sul gruppo, ho pensato che fosse la mia ultima occasione per giocarmi il mondiale. Mi hanno ripreso a un chilometro dal traguardo, se avessi fatto diversamente non so se sarebbe cambiato qualcosa, magari ci avrebbero ripreso anche prima perché avremmo perso tempo a controllarci. Questa è la vita, ci saranno tante altre occasioni».
Nella prossima stagione ne avrai di più, visto che Dan Martin ha cambiato team. «In squadra ho sempre avuto tutto lo spazio che desideravo. I dirigenti e tecnici della Quick Step Floors credono in me e mi supportano al meglio, con i miei compagni siamo riusciti ad ottenere un numero incredibile di vittorie con ben 18 atleti differenti. Personalmente, nonostante l’infortunio al ginocchio a metà anno mi abbia fatto perdere parte delle competizioni che avevo in programma, questa è stata la mia miglior stagione da quando sono professionista grazie alle due belle vittorie ottenute alla Parigi-Nizza e alla Vuelta di Spagna. Alla Quick Step ognuno ha la sua occasione e lavora per il miglior risultato della squadra. Abbiamo una mentalità vincente, attacchiamo e proviamo sempre a inventarci qualcosa per essere protagonisti, questa squadra incarna al meglio il modo di vivere il ciclismo, per questo ci resto volentieri. Il compagno da cui ho imparato di più? Gilbert. In carriera ha vinto tutte le corse che vorrei fare mie».
A che età hai iniziato a correre? «A 13 anni, con una bici vecchissima. Arrivo dal nulla, i miei genitori non avevano i soldi per comprarmi una bici come si deve. Sapete quanto costano, oggi ne uso di bellissime, me le regalano, ma mi ricordo quanta fatica facevo a mettere da parte i soldi che servivano per comprare ogni ricambio. Certe cose non si dimenticano. Ricordo le prime gare a cui andavo con papà in auto. Ho sempre voluto vincere, ma da ragazzino faticavo perché ero piccolo fisicamente rispetto ai miei coetanei. Mi sono dovuto accontentare tante volte del secondo posto, come adesso d’altronde (ride, ndr). Battute a parte, dovermi confrontare con ragazzi più grandi mi ha dato quella grinta che ancora oggi mi contraddistingue. Sono un corridore da corse di un giorno, quelle in cui ci si gioca tutto in poche azioni, in cui prevale l’istinto, che è il mio punto forte, rispetto alla tattica e alla calma che bisogna avere per curare la generale di un grande giro».
Raccontaci da dove arrivi. «Sono nato a Saint-Amand-Montrond, un comune situato nel dipartimento del Cher, nella regione del Centro-Valle della Loria, l’11 luglio 1992. Sono un ragazzo semplice, che è cresciuto in una famiglia che non ha mai avuto nulla a che fare con il ciclismo. Mio padre Jacques mi ha trasmesso la passione per la musica. Ora è in pensione, ma ha lavorato tutta la vita come direttore della banda. Io suono la batteria, ho iniziato da bambino, mi serviva per sfogarmi perché ero iperattivo, e ancora oggi mi rilassa. Mamma Katrine invece ha sempre fatto la casalinga, ha avuto un gran da fare con i miei due fratelli minori Brayan, che ha 22 anni ed è ciclista anche lui, e Leo, che ne ha 14 ed è studente (ha anche un fratellastro 20 anni più grande di lui, nato da un precedente matrimonio del padre che ha 78 anni, ndr)».
Hai detto che da piccolo eri iperattivo. Anche ora non riesci a stare fermo a lungo... «Anche per questo ho iniziato a pedalare con mio fratello, in mtb. La bici canalizza l’energia in modo positivo. Amo la vita e cerco di godermela. Sono sempre “a blocco”, a tutta, ma ogni tanto devo fermarmi e tirare il fiato. Cerco sempre di trovare il positivo nelle situazioni e nelle persone e di godermi ogni attimo. Il tempo libero lo trascorro con le persone a cui tengo di più. Amo la musica, le macchine e i viaggi. L’ultima vacanza l’ho trascorsa a Cancun, in Messico. Un vero paradiso. Mi piace scoprire nuovi mondi e persone. All’ultima gara del 2017, il Tour of Guangxi, in allenamento mi sono trovato di fianco un ragazzino di 12 anni sullo scooter che voleva fare a gara con me, aveva un sorriso larghissimo. Questo è il bello di viaggiare: magari a parole si fa fatica a comunicare, ma basta poco per intendersi».
Tuo fratello Brayan è forte come te? «Siamo l’opposto, lui è velocista e ha le gambe davvero grosse. È promettente, ma è giovane e ha ancora una lunga strada davanti a sé, gli auguro il meglio, spero continuerà a crescere e chissà che un giorno ci ritroveremo nello stesso team, sarebbe un sogno. Tra i dilettanti ho corso nella formazione militare Armée de Terre, la stessa squadra in cui militava Brayan, ma è arrivata pochi giorni fa la notizia della chiusura del team. Ho dei bellissimi ricordi di quel periodo. Avevo 18 anni, vivevo nella caserma di Saint Germain-Laye, vicino a Parigi, con la formazione dell’esercito francese ho imparato tutto, per la prima volta mi è stato permesso di fare ciclismo ad alto livello. Poi sono stato contattato dal team continental dell’allora Omega Pharma Quick Step e ho colto l’occasione al volo, dopo un anno con buoni risultati a fine stagione Patrick Lefevere mi ha proposto un contratto di due anni. Ho rinnovato per altre due stagioni quindi è inutile dirvi quanto bene mi trovi in questa squadra. Tutto corre veloce, sembra passato poco invece sono anni e senza pensarci troppo il ciclismo è diventato il mio lavoro».
Cosa ti resta degli anni trascorsi praticando ciclocross? «Il CX è stata la mia scuola, ho iniziato con quello, mi ha insegnato la tecnica e l’abilità di guidare la bici. Invito i giovani a praticarlo. Da junior fui secondo al mondiale a Tabor e ho vinto la prova di Coppa del Mondo a Zolder. All’epoca non avrei mai pensato di dire addio al fuoristrada per dedicarmi alla strada, invece è successo. Mi diverto ancora d’inverno con la bici da cross, utilissima per allenarmi. Se un giorno tornerò a gareggiare nel ciclocross sarà per puntare seriamente alla vittoria, ora mi limito a seguire le gare in tv durante il periodo delle vacanze. Le stagioni sono già così lunghe...».
Il movimento francese sta vivendo un ottimo periodo. «Sì, c’è una bella generazione di giovani che sta crescendo in Francia, ma anche in tanti altri Paesi. Abbiamo ragazzi che possono ambire a vittorie nei grandi giri come Romain Bardet, Warren Barguil e Thibaut Pinot, atleti davvero validi, insieme ad altri promettenti per le classiche e buoni sprinter. Il talento c’è, ora è il momento di raccogliere».
Cosa speri per il tuo futuro? «Sono motivato per l’anno prossimo, durante il quale voglio vincere una grande corsa e vorrei prendere parte al Tour de France. Adoro le classiche, nel 2015 mi sono classificato secondo alla Liegi, quest’anno ho corso la mia prima Milano-Sanremo e il mio secondo Lombardia, sono corse che un giorno vorrei fare mie. Ho avuto buone sensazioni, ci tornerò. Perdere non è un dramma, mi è successo all’Europeo quando sono arrivato secondo alle spalle di Sagan e ai Giochi Olimpici di Rio quando sono finito 4° dopo esser caduto nello stesso punto di Nibali (non ripreso dalle telecamere). Devi perdere tanto per poi imboccare la via del successo. Per la mia carriera ho troppi sogni, desidero vincere tutte le più grandi corse del mondo. Diciamo che miro a diventare il miglior corridore che posso diventare. Non ho ancora trovato il mio limite, voglio arrivarci».
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