“Ci sono città che parlano piano. E poi ci sono città che pedalano, anche quando il tempo passa e cambia i volti. Maddaloni è una di queste. Qui la bicicletta non è mai stata soltanto sport: è stata riscatto, fatica, orgoglio. È stata Alberto Marzaioli, ieri. È Michele Pascarella, oggi”.
Due ragazzi separati da sessant’anni, uniti dallo stesso rumore: quello della catena sotto sforzo. Alberto, il primo campano sul pavé del Nord. Quando Alberto Marzaioli arrivò a Roubaix, nel 1961, nessuno dalla Campania c’era mai riuscito. Il pavé gli aveva mangiato la faccia, la pioggia aveva cancellato i colori, la fatica aveva reso tutti uguali. Bartali, Gino Bartali, non lo riconobbe neppure. «Alla fine mi pulì il viso», raccontò Alberto anni dopo. «E io gli dissi solo: che schifezza di strade».
Non vinse, Alberto. Ma ci andò vicino abbastanza da lasciare un segno. Gregario vero, di quelli che non si risparmiano, terzo e quarto nelle tappe al Giro, secondo in Svizzera dove fu ottavo in classifica generale. Uomo del Sud in un ciclismo che non era tenero con chi veniva da lontano, con chi stringeva i denti e basta.
E quando qualcuno osò chiamarlo “terrone” in fuga, fu un compagno “piemontese” di Calvi Risorta, Gigi Mele, a battere il pugno sul manubrio: «Io sono più terrone di lui. Pedala e lascialo in pace».
Era un altro ciclismo. Eroico, ruvido, umano. Fatto di pioggia, crampi, lacrime nascoste e sogni mai del tutto spenti. Fatto di uomini che pregavano, che crollavano e poi ripartivano. Alberto amava le biciclette, le collezionava, le rispettava. E Maddaloni, anni dopo, gli ha restituito quell’amore: una stradina, oltre 900 firme, un nome inciso nel cuore del centro storico. Lì, Alberto continua a pedalare.
Sessant’anni dopo, un altro ragazzo di Maddaloni parte con lo stesso istinto. Michele Pascarella non sceglie il ciclismo per tradizione: lo sceglie senza sapere perché. Ha cinque anni, nessuno in famiglia va in bici, ma il cuore sì, va forte.
Cresce lontano dai riflettori, in una terra dove i giovani sono tanti e le squadre poche. Dove per emergere devi andartene, portandoti dietro casa, genitori, sacrifici. Michele ci prova sempre. Scatta da lontano, insiste, perde e ritorna. Al Giro del Friuli va in fuga finché può, poi viene ripreso a tre chilometri dal traguardo. Non molla: si prende la maglia dei GPM. È fatto così. Attaccante, completo, resistente. Testardo come chi viene dal Sud.
Nel 2025 arrivano le risposte: vittorie, podi, piazzamenti pesanti. Due Giorni di Brescia e Bergamo, GP Neri Sottoli, il Trofeo Buffoni, il podio agli Italiani. E come Alberto, ancora una volta, secondo dietro a uno scatto finale. A Messina nel ’59 Marzaioli si arrese solo a Bruno Milesi. A Porto Vecchio Michele solo a Carosi e Pezzo Rosola. Cambiano i nomi, non il destino.
Tra Alberto e Michele c’è un filo invisibile. Non è fatto di vittorie, ma di resistenza. Di quella capacità tutta ciclistica di soffrire senza platea, di credere anche quando non conviene.
Michele studia. Libri e bici, fatica e futuro. Fisioterapia, Scienze Motorie. Perché il ciclismo, come la vita, può cambiare strada ma non direzione. E poi c’è la famiglia: mamma Carla, papà Biagio. Presenze silenziose, fondamentali. Ogni corsa seguita col cuore in gola. Ogni traguardo attraversato insieme, anche da lontano. E dal 2026 nuovo step con l’approdo tra gli Under 23 nelle fila del vivaio della Solution Tech-Nippo-Rali.
Alberto Marzaioli non avrebbe mai immaginato che la sua vittoria più grande sarebbe stata l’amore della sua città. Michele Pascarella forse non sa ancora dove arriverà. Ma sa da dove parte.
Da Maddaloni.
Dalla stessa terra.
Dallo stesso bisogno di stringere i denti.
La bicicletta è questo: una linea che non si spezza, una staffetta tra generazioni. I campioni passano, la fatica resta. E ogni volta che un ragazzo del Sud si alza sui pedali, Alberto è lì. In silenzio. A ruota.
Pedala Michele.
Pedala Maddaloni.
Pedala la memoria.
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