STORIA | 04/08/2016 | 07:56 Ventitré concorrenti di ventitré nazioni. Per l’Italia, nella velocità, specialità regina della pista, c’è Mario Ghella. Olimpiadi di Londra, nel 1948. Il velodromo di Herne Hill, un anello di 450 metri, sorto nel 1891, che come tetto ha un cielo di nuvole di giorno e di stelle di notte.
Sabato 7 agosto si comincia con le batterie. E in una prova secca Ghella fulmina il canadese Lacourse, il cui cognome suona, almeno stavolta, poco adatto. Si prosegue con gli ottavi di finale. E in un’altra prova senza appelli Ghella supera il venezuelano Leon, forse re della foresta, ma, almeno stavolta, non della pista. Si continua con i quarti di finale, al meglio dei tre round, pardon, delle tre manche. E a Ghella gliene bastano due per liquidare il belga Van de Velde.
Si torna in pista lunedì 9 agosto. Semifinale. Ghella affronta e si sbarazza del danese Schandorff, e nella circostanza migliora perfino il record della pista: 11”9 per volare gli ultimi 200 metri. In finale deve vedersela con Reginald “Reg” Harris, inglese, un fuoriclasse, ma anche con tutti gli spettatori, che a voce spingono il padrone di casa. Nella prima prova, Ghella usa più la testa che le gambe: a 350 metri dalla linea, scatta e sorprende Harris, lo passa all’interno e lo beffa con un finale da 12”2. Nella seconda manche, Ghella usa più le gambe della testa: e precede di un soffio Harris chiudendo in 12” netti. Oro. Le cronache descrivono il silenzio di piombo calato sul velodromo per la delusione della sconfitta di Harris, poi lo scroscio di applausi quando Ghella invita il suo avversario a compiere, insieme con lui, il giro d’onore.
Aveva la stoffa del campione, Ghella. Un po’ perché del campione aveva la forza delle gambe e della testa. E un po’ perché Chieri, alle porte di Torino, dov’è nato e cresciuto, era una capitale dell’industria tessile, soprattutto del fustagno. Papà calzolaio, mamma casalinga, a 15 anni Mario andava a scuola in bicicletta, e tutto cominciò così: per raggiungere l’istituto tecnico industriale Mario doveva oltrepassare una collinetta, così imparò a concentrare potenza e intelligenza in uno scatto, da zero a 60 all’ora, in una dozzina di secondi. La prima gara fu per folle scommessa: in gita al Motovelodromo di Torino, accettò di sfidare il campione italiano dei dilettanti Degli Innocenti e lo sconfisse. Il primo titolo fu per manifesta superiorità: campione italiano allievi. E la prima Olimpiade fu quasi un giallo: a Fiorenzuola, alla vigilia dei Giochi, gli fu rubata la sua specialissima Frejus su misura.
Ghella è stato anche partigiano (staffetta) e artista (scultore), inventore (la grappa come biocombustibile) e industriale (di biciclette e di decorazioni d’interni), viaggiatore e ambientalista. Una vita, la sua, romanzesca. Le gomme con cui batté Reg Harris gliele aveva prestate Leon. E proprio Leon lo invitò a trasferirsi in Venezuela, dove Ghella abita ancora. Ha la bellezza di 87 anni. E chissà quante altre storie da raccontare. Marco Pastonesi
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