L'ORA DEL PASTO. TRA I DUE LITIGANTI, IL CICLISMO GODE

LIBRI | 12/02/2022 | 07:50
di Marco Pastonesi

Si riconoscono a naso, si detestano a pelle. Si guardano di sbieco, si voltano le spalle. Si indicano con un cenno, si rispondono con una smorfia. Dicono, infastiditi, seccati, allergici, “quello”. A volte accettano addirittura di posare insieme per una foto, ma senza sorriso, senza calore, senza vita. Si ravvivano solo quando corrono, e corrono alla morte.


“Quasi nemici”, li elegge Dario Ceccarelli. Ma per bontà, per prudenza, per sport. Perché loro sono più che nemici, nemici dichiarati. Non corrono con: loro corrono contro. La loro è una guerra dentro la corsa: la guerra l’uno contro l’altro dentro la corsa, e meno spudorata, meno spietata, meno sfegatata, con tutti gli altri. L’importante non è partecipare, l’importante non è solo vincere, l’importante è arrivare prima di quello. Secondo? Ma quello è arrivato terzo. Trentesimo? Ma quello è arrivato dopo di me. Ultimo? Ma quello si è ritirato.


Non so come fosse fra Fausto Coppi e Gino Bartali. Negli scritti dei cronisti, nelle testimonianze dei gregari, si indicavano con un cenno, si rispondevano con una smorfia. Il tempo arrugginì le armi, esaurì le munizioni, ammorbidì le parole. Fu il destino a ribellarsi, altrimenti “quei due” avrebbero sposato i loro miti, nella stessa squadra, con gli stessi colori, anche se uno (Bartali) sull’ammiraglia da direttore sportivo, e l’altro (Coppi) in bicicletta da capitano non giocatore, nella San Pellegrino anno 1960.

Ma ho assistito alla prima volta in cui Beppe Saronni si è recato a casa di Francesco Moser. Si respirava imbarazzo, tensione, elettricità. Il benvenuto si tradusse immediatamente in scaramucce. Moser si attribuì il merito di averlo invitato, Saronni spiegò che sarebbe arrivato prima se Moser non avessi istruito i locali a dargli indicazioni confuse e quando poi chiamò Beppe Conti (l’occasione era data dalla presentazione del suo libro “MoserSaronni”), il giornalista e scrittore da lui definito inequivocabilmente “moseriano” gli aveva fatto sbagliare la strada ben tre volte. E l’arrivederci fu preceduto da un’altra schermaglia. A Saronni che coerentemente annunciava che non voleva regali, ma avrebbe acquistato il suo vino, Moser ribatté imponendo ai figli di alzare subito i prezzi. Da allora “quei due” si sono visti e rivisti, ormai quasi amici, ma sempre con il rischio di dare e prendere la scossa.

I “Quasi nemici” di Ceccarelli (Minerva, 176 pagine, 16,90 euro, con la prefazione di Romano Prodi e la postfazione di Roberto Livraghi) sono – oltre a Coppi e Bartali e a Moser e Saronni – Gerbi e Cuniolo, Girardengo e Binda, Anquetil e Poulidor, Gimondi e Merckx, Bugno e Chiappucci, Wiggins e Froome, tutti sulla strada, Malabrocca e Carollo sulla strada ma al contrario, non per arrivare primi (a quello ci pensavano Coppi e Bartali) ma ultimi, Maspes e Gaiardoni sulla pista. Ceccarelli aggiunge Pantani, impegnato da solo contro le sue due anime, quasi nemico di sé, “un gigante che non aveva rivali tranne che un feroce se stesso, molto più determinato di qualsiasi rivale gli fosse mai capitato a tiro. Un angelo con la spada che, dopo averlo portato in vetta, gli ha reciso la fune lasciandolo precipitare senza pietà”.

Ceccarelli pedala, a suo modo, sulla tastiera, in questa mappa umana che è la storia del ciclismo. Lo fa con eleganza e rispetto. Ha seguito undici Giri e cinque Tour, conosce la strada e il valore di chi la batte, contro la fatica, contro il vento, contro il tempo massimo e perfino contro un quasi nemico. Per Gimondi e Merckx – per esempio - usa parole definitive: “Più che di un’aspra rivalità, questa è la storia di una feroce usurpazione. Di una prepotente invasione durata quasi otto anni che avrebbe portato chiunque alla disperazione o all’abbandono. Ma chi l’ha subìta, questa aggressione, non era tipo da alzare bandiera bianca o da recriminare sulle cattiverie del mondo”. Per Anquetil e Poulidor – per esempio – basterebbe riprendere le ultime parole: a Poulidor che lo andò a trovare sul letto di morte, Anquetil disse: “‘Pas de chance’, vecchio mio. Ancora una volta finirai secondo”.

Come ha ragione Ceccarelli: “Tra i due litiganti, il ciclismo gode”.

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