STRADE BIANCHE A MANI NUDE, ALMENO QUELLE

di Cristiano Gatti

Dopo una battaglia durissima, sul filo dei secondi, Roglic riesce a firmare l'impresa personale: perde la maglia rosa che disperatamente voleva perdere e la consegna a Ulissi, per un'Italia in festa dopo epoche immemorabili.

Il Giro 2024 era un tizio che voleva la maglia rosa a tutti i costi, che l'aveva mancata il primo giorno ma se l'era messa subito dopo per non mollarla più a nessuno, anzi tutti i giorni esaltandola con imprese a raffica, una più bella dell'altra. Questo del 2025, dodici mesi dopo, è un tizio che la maglia rosa proprio non la vuole, quando gli capita di prenderla s'inventa subito il modo per rifilarla a qualcun altro, senza chiedere niente in cambio, anzi chiedendo solo di sollevarlo dalla seccatura di doverla difendere, boia cane, tu pensa lo stress da qui a Roma, dai, non è vita.

Grazie Roglic, viva Ulissi e viva Fortunato. Noi in quanto Italia non dobbiamo tanto guardare in bocca al caval donato, data la congiuntura depressiva che dura dalle guerre d'Indipendenza. Festa sudata è festa meritata. Resta inteso che tutto va pesato e ragionato, per cui dobbiamo anche sapere quanto possano valere in assoluto queste maglie rosa e questi secondi posti in classifica.

Da qui a definire indimenticabile la tappa di Castelraimondo passa la stessa differenza che passa tra il Processo di Zavoli e il Processo di Fabretti. I cosiddetti o sedicenti big anche stavolta giocano a guardarsi, trasformando ancora una volta il Giro in un'eterna sala d'aspetto, e chi se ne importa se anche il frenetico saliscendi marchigiano, altre volte palestra ideale per grandi battaglie, finisce ancora in uno sprintino finale (Ayuso ruba un altro secondo, in questa atmosfera risultato cubitale).

E questo è tutto. Finora è andata così, buon per noi che ci ritroviamo Ulissi e Fortunato ai primi due posti della classifica. Può succedere là dove non succede niente. Basta avere gente sveglia ad approfittare del vuoto e grazie al Cielo stavolta l'abbiamo noi.

Sempre grazie al Cielo, qualcosa mi dice che comunque una svegliata se la debbano finalmente dare, in quella che sicuramente è la tappa più spettacolare e romantica del Giro: certo, come no, da Gubbio a Siena spolverando per le strade bianche degli acquerelli toscani. Diciamolo: se riescono a fare turismo anche domani significa davvero che non hanno anima. La forza degli sterrati sta proprio nel riportare indietro il ciclismo al tempo e al modo della destrezza, dell'equilibrio, della fatica e del coraggio. Sempre per rendermi simpatico agli anti-Pogacar: su quel terreno, giusto un paio di mesi fa, il campione del mondo è finito fuoristrada, con salto carpiato dentro ai rovi, sgrufolando come un cinghiale, ma poi è riuscito a rimontare Pidcock e a vincere da solo. Però ci si capisce: c'è modo e modo anche di affrontare la cayenna delle strade bianche. C'è quello del sesto monumento, a tutta, col coltello fra i denti, e c'è quello delle anziane coppie anglosassoni in gita enogastronomica, magari su bici assistita. Dipende dal temperamento e dagli obiettivi. Ai Roglic, agli Ayuso, ai Bernal, ai Ciccone, allo stesso specialista Picock è giusto chiedere il massimo. Almeno oggi, nella tappa più nobile e poetica delle prime due settimane. Signori della classifica, basta con le mascherate e i travestimenti, tirate fuori le unghie e provate a darvele di santa ragione. E' un appello. E' un'implorazione. La maglia rosa non merita di vedere gente impegnata soltanto a scovare il modo migliore per perderla. Siamo al Giro d'Italia, dice niente questa parola?



 

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