Quel doping che abbiamo scoperto con ipocrisia
di Gian Paolo Ormezzano
Non vogliamo parlare di ciclismo. Perché parliamo di doping e con il doping il ciclismo non c’entra. O meglio, c’entra come tutto lo sport.
Parliamo di doping.Lo sdegno di fronte a periodiche rivelazioni sull’uso disinvolto di questo o quel prodotto da parte di questa o quella categoria di atleti è una ipocrisia più grande di quella che, per tutta la prima parte del secolo che ci stiamo lasciando alle spalle (senza fretta, per carità, c’è ancora un anno di tempo), ha circondato il cosiddetto dilettantismo.
Noi giornalisti siamo gli ipocriti fra gli ipocriti. Perché abbiamo cantato e cantiamo imprese senza chiederci cosa possa stare, chimicamente parlando, dietro certe performances. Da sempre facciamo così, da quando i nostri trisavoli hanno celebrato, per stare alla storia moderna dello sport, la vittoria nella maratona del greco Spiridione Luis ad Atene 1896, la patetica drammatica vicenda dell’italiano Dorando Pietri nella stessa gara a Londra 1908. Il primo sostenuto da un doping iperglucosico, il secondo sconvolto e travolto da un miscuglio di vino rosso e stricnina.
Noi giornalisti adesso scriviamo di doping semplicemente perché l’argomento è interessante. Ma siamo noi che abbiamo aiutato, abbiamo persino spinto gli sportivi a doparsi. Chiedendo a loro il massimo dei massimi, quanto a prestazione, ed ogni volta che un calendario sadico proponeva l’impegno. Da sempre, e sempre. Il doping è sempre esistito e noi lo abbiamo sempre coltivato indirettamente.In progressione, poi.
Ultimamente il meccanismo dello show-business, permesso ed imposto dalla globalizzazione televisiva, ha fatto sì che la ruota della produzione di imprese e narrazioni di esse prendesse a girare a velocità frenetica. Abbiamo chiesto, per conto dei lettori e soprattutto dei telespettatori, i nuovi schiavi-padroni del mondo, sempre più sport cosiddetto di vertice, sempre più gare, sempre più primati, sempre più spettacolo. Abbiamo scritto (ho scritto) di prestazioni deludenti se non c’era il record, di giocate stracche se non c’era il parossismo. L’alta velocità del gioco (gioco?) del calcio è diventata più importante, per il divenire dell’umanità, dell’alta velocità delle ferrovie.
Non ci siamo fermati mai, non abbiamo mai considerato il diritto dello sport di sostare. Drogati noi di attese, abbiamo drogato i nostri clienti di speranze, voglie, appagamenti: chiedendo agli atleti di non tradirci mai. Siamo stati - e qui ci caliamo in Italia - felici e fieri del proliferare, in misura unica al mondo, della stampa sportiva.
Adesso, drogatissimi di superego, di pomposità da giudici mai giudicati, anzi mai giudicabili, diciamo che questi atleti ci hanno ingannato, e ci hanno costretti ad ingannare i lettori. Ma via, sapevamo tutto e non dicevamo niente. O meglio, riducevamo l’atleta ad un ologramma sfruttabile per i nostri comodi giornalistici, intanto che i dirigenti lo usavano per i loro comodi, i politici anche, i pubblicitari anche.
Il vero doping è quello che usiamo noi e che facciamo usare ai lettori, non quello che assumono gli atleti. Rispetto però ad altri settori della vita moderna in cui si svolgono le stesse pratiche, dobbiamo dire che il nostro è il più ipocrita. Nel mondo dello spettacolo i leader, i campioni, usano in tanti casi la droga, e quasi se ne vantano, e si rifiutano di criminalizzarla almeno a scopo didascalico, didattico. Però la cosa appare, viene detta o almeno sussurrata dagli addetti ai lavori. Nello sport non si è detto nulla per tanti anni, e passi. Ma adesso si pratica lo sdegno ipocrita, e questa è colpa grave, è colpa enorme.
Anche alla fine del povero 1999 si è insistito con l’ipocrisia, e si è arrivati a dire per iscritto agli atleti: voi ci avete truffati, ci avete derubati di entusiasmo, di fiducia. Non realizzando che in questo caso si dà ai giornalisti una patente di cretineria, una vernice di demenziale ingenuità.
Sarà dura uscire dall’ipocrisia, se ci usciremo. Nei giorni dello scandalo ultimo del doping, un mercato calcistico demenziale, drogato, proponeva orge di miliardi per giocatori qualunque. Drogatissimi dalle nostre stesse notizie, abbiamo parlato e scritto di un nuovo campionato, drogato da prodotti nuovi: giocatori pieni di pillole, fatti assumere come pillole ai tifosi.
Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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