Tom Dumoulin: Ho fatto il massimo

di Giulia De Maio

Chris Froome è stato eccezionale. Ma se la sua vittoria al Giro 101 resterà memorabile, è anche grazie allo spessore dei rivali che ha saputo mettersi alle spalle, a partire da Tom Dumoulin. Il passistone olandese, in maglia rosa un anno fa, ha lottato fino alla fine come un gladiatore e accettato la resa solo a Roma.
«Chris è stato migliore di me, non c’è molto da dire. Complimenti a lui. È sta­to il Grande Giro più duro tra quelli che ho disputato, il più pazzo. Ogni giorno è stato interpretato come fosse una classica. Siamo arrivati in tanti aven­do consumato ogni possibile energia e non mi era mai capitato. Non ho alcun rimpianto» ha dichiarato al termine dell’ultima tappa.
Tom ha iniziato questo Giro da numero uno. A Gerusalemme, da campione in carica, ha indossato la prima maglia rosa vincendo una cronometro dal fa­sci­no inarrivabile. Da Tel Aviv in avanti è stato l’uomo più vicino al leader: Den­nis, Yates e Froome lo hanno sempre avuto alle calcagna. Parados­sal­men­te lo sviluppo della sua corsa è stato più lineare rispetto a quella del 2017, strappata all’ultimo respiro a Quintana, Nibali e Pinot grazie alla sfida contro le lancette di Milano, ma Tom non è più riuscito a far sua la ma­glia.
Nei momenti decisivi ha superato le difficoltà senza perdere mai il controllo della si­tuazione. Sullo Zoncolan, nel giorno della resurrezione di Froome, aveva ceduto solo 37”; a Sappada, quan­do Yates pareva irresistibile, era rimasto agganciato ai migliori (a 41” dall’inglese); sul Colle delle Finestre, mentre Chris realizzava un’impresa d’altri tempi, si era gestito dando un senso all’ultima recita a Cervinia. Solo a Rovereto, nella prova contro il tempo che avrebbe potuto rispedirlo in orbita, era stato meno perfetto del previsto.
Sul tappone che ha stravolto il Giro il suo coach Marc Reef ha sottolineato: «Tom ha mostrato un grande cuore, ha pedalato al massimo davvero fino al­l’ultimo centimetro del percorso. Cre­do che l’abbia fatto anche chi era con lui, Froome è stato troppo forte e non era possibile ridurre di più il distacco. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva, ma non è bastato».
Più di qualche commentatore ha sottolineato come Beautiful Tom abbia per­so il Giro nella discesa del Colle delle Fi­nestre quando ha deciso di aspettare Stephan Reichenbach, compagno di squadra di Thibaut Pinot.
«Chris mi ha staccato in salita. Sem­plice­mente andava troppo forte per me. Non c’era niente che potessi fare contro di lui. Non potevo stargli dietro. - aveva replicato a caldo. - Io penso di avere fatto una buona tappa, non ho niente da rimproverarmi, lui è stato su­per. È stata una giornata folle. Era facile immaginare che quelli di Sky avessero in serbo qualcosa di speciale. Nella discesa ho deciso due volte di aspettare Reichenbach, forse non è stata la scelta più giusta perché è sceso un po’ come una vecchia signora. Fossi andato per conto mio, avrei potuto sostenere la stessa velocità di Froome. Con il senno di poi decisamente non ho preso la decisione migliore, però è troppo facile parlare a posteriori. Le corse so­no questioni di attimi».
Un vero capitano non si arrende nemmeno quando l’acqua arriva alla gola. Più le forze vengono meno, maggiore è la resistenza. Quando tutti aspettano di vederti affondare, è il momento di ri­mandare il momento della resa oltre ogni limite. Tom è stravolto dopo che l’ultima onda gli ha sottratto ogni speranza. Salendo verso Cervinia, quattro accelerazioni tra il cartello dei meno dieci e quello dei meno cinque chilometri non gli sono servite a recuperare terreno.
«Se non ci avessi provato in questo mo­do non me lo sarei perdonato per il resto della mia vita. Sono arrivato esausto, finito. Non ho più nulla nel serbatoio. Ho dimostrato di essere uno dei migliori scalatori, ma non “il” migliore. Ci ho provato tutte le volte che potevo e questo mi rende super orgoglioso di come abbiamo corso. Grosso modo, il livello della mia forma era identico al 2017. La squadra invece è stata più for­te, avete visto cosa ha fatto Sam Oo­men? Ha chiuso nono ed è il più giovane tra i primi dieci. L’anno scorso il percorso mi si adattava meglio, per que­sto sono particolarmente felice del mio risultato».
Il ventisettenne capitano della Sunweb nel 2017 trionfò per 31” su Nairo Quintana, questa volta ha perso per 46” dal primo britannico in grande di aggiudicarsi il Trofeo Senza Fine. L’an­no scorso nel percorso c’erano però 69,1 km a cronometro, suo terreno prediletto, e stavolta solo 43,9. Sa bene quanto il confine tra vittoria e sconfitta possa essere labile e quanto vale questa piazza d’onore.
«Spero di non vincere a tavolino questo Giro. Non è certo il modo in cui mi piace primeggiare. Sarebbe davvero negativo per il ciclismo se Chris lo perdesse. Anche se fosse sospeso per quel­la non negatività alla Vuelta, la squalifica non dovrebbe pregiudicare il Giro d’Italia» ha precisato stimolato dai cronisti sul “caso salbutamolo” di Froome.
Questo ragazzo bello, alto (186 cm per 70 chili) e gentile ama il nostro Paese e promette di tornarci non solo per le vacanze.
«Adoro la Toscana. La mia città preferita è senza dubbio Siena. Ho fatto bel­le nuotate nel lago di Como. La bellezza di Roma toglie il fiato, finito il Giro con la mia fidanzata Thanee ne abbiamo approfittato per visitarla e per le prossime vacanze la Sicilia è in pole po­sition tra tutte le mete, se la gioca solo con Parigi».
Non gli è riuscito il bis consecutivo al Giro d’Italia, l’ultimo a centrarlo è stato Miguel Indurain (1992-1993), ma per Tom non è un dramma. E nella storia sportiva del suo Paese ha già un po­sto speciale. Prima di lui il Giro d’I­ta­lia è sempre risultato tabù per gli olandesi, che hanno vinto Tour e Vuelta, con Janssen e Zoetemelk, ma mai il Giro. Anzi prima di lui, nella storia della corsa rosa, un solo olandese, Erik Breukink, terzo nel 1987 e secondo nel 1988, l’anno del Gavia nella neve, era salito sul podio. Il primo olandese a vestire la maglia rosa era stato Gerrit Voorting, a Napoli, nel 1954. Solo altri quattro suoi connazionali l’hanno in­dossata: Breukink, Jean-Paul Van Poppel, Blijlevens e Weening. Il suo co­gnome è francese, non neerlandese - mulino è «molen» - e corrisponde all’italiano Dal Molin. Un nome, che è perfettamente in linea con il paese dei mu­li­ni a vento e dei tulipani. A Maastricht una parte dei suoi tifosi si è scagliata contro Froome e i due potrebbero ri­trovarsi faccia a faccia al prossimo Tour de France. Una battaglia è conclusa, un’altra sta per cominciare.

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