Rapporti&Relazioni
Truman Show

di Gian Paolo Ormezzano

Ai Giochi di Mosca 1980 il tracciato della prova su strada era di tipo nuovo e interessante, e infatti a priori non piacque ai parrucconi che ancora comandavano il ciclismo mondiale, con il valido contributo statico di noi italiani. Era un circuito che talora si avvitava su se stesso, persino con un “gioco” di sottopassaggi e sovrappassaggi, e che stava tutto in po­chi chilometri quadrati. E po­teva persino accadere che uno spettatore, sostando ai bordi della strada e semplicemente facendo perno su se stesso e ruotando di 180 gradi ed an­che meno, potesse vedere, su una strada vicina e magari pa­ral­lela, un’altra fase della cor­sa. Era un circuito concepito per la televisione, si disse, che, con poca spesa di telecamere fisse in posti bene studiati e dunque con pochi uomini ad­detti, poteva riprendere tutta la corsa, senza complicazioni costose e ingombranti e perigliose di troppe auto e motociclette e macchine volanti equipaggiate ad hoc. Vinse la medaglia d’oro, per la cronaca più che per la storia, un russo dal nome troppo lungo per ri­cordarlo qui adesso, vinse con buon distacco, con una fuga a 35 chilometri dalla conclusione.

Il film Truman show è di diciotto anni dopo. In quel film, straordinaria interpretazione del canadese Jim Carrey, si raccontava la vi­ta qualunque di un borghese qualunque in una città qualunque. Ma lui non sapeva di essere seguito segretamente dalle telecamere, passo dopo passo e attimo dopo attimo, circondato e anche aggredito da pubblicità occulte, controllato anzi spiato nei movimenti e anche nei gesti minimi, spinto a fare così anziché cosà, in quanto designato da una sorta di Grande Fratello per un esperimento neanche troppo fantascientifico. E cioè mo­stra­re come la televisione po­tesse avvolgere controllare condizionare comandare un uomo, senza che neppure lui se ne accorgesse, e diffondere poi il suo show incoscio. Per ragioni tecniche, sul mondo quotidiano di questo uomo era stato eretto un gigantesco tendone, da circo immenso, cosmico, a racchiudere tutti e tutto, un maximaxitendone utile fra l’altro per le riprese televisive, con innumeri telecamere ben sistemate, e intanto decisivo per delimitare in qualche modo l’habitat della stessa persona, onde non creare problemi di - diciamo - in­seguimento ai cameramen e agli attori (tanti, tutti, anche i famigliari di Jim Carey), im­pe­gnati a riprender e ad am­man­nirgli il mondo costruito dagli autori. Film splendido, inquietante, appassionante, e talora più divertente che angosciante, specialmente allorché il nostro non eroe finisce per accorgersi di essere soltanto un attore in uno show dove tutti conoscono la loro parte e la recitano bene, tutti fuorché lui.

Ma cosa c’entra Tru­man show con il ciclismo? C’entra, perché ormai i cosiddetti tracciati, anche e specialmente di prove importanti o comunque di sagre ciclistiche stradali in zone assai abitate, si dipanano in sempre meno chilometri quadrati di superficie, di territorio. Circuiti brevi, e specialmente nelle città frequenti andirivieni su rettilinei divisi da un nastro di plastica. Me­glio veder e rivedere da vicino che attendere tanto tempo un arrivo da lontano. Anche mon­tagne risalite da due versanti (persino parzialmente lo Stelvio, all’ultimo Giro d’I­ta­lia). Ma in fondo la stessa mitica & mistica Parigi-Roubaix propone e conserva e difende un pavé ormai di pochi chilometri ferrignamente difesi dall’asfaltatura, preservati come reperti museali, omaggiati dal­lo sforzo tremendo ancorché spesso lotteristico degli atleti, e visitati dalla corsa tutta con una sorta di zigzagare onde sfruttare tutte le porzioni della pavimentazione voluta da Na­poleone III: la cosa infatti che ormai parte lontano assai da Parigi, per potersi permettere quello zigzagare prima dell’arrivo nello storicissimo velodromo.

Sempre meno conquista pedalata dello spazio in senso chilometrico, sem­pre più occupazione degli spazi anche ridotti. Molti i campionati nazionali organizzati in circuiti più o meno lunghi, forse anche pensando a possibili incassi. Per semplificare e intanto esemplificare, diciamo sempre più minigolf, sempre meno golf. Se del caso sotto l’immane cosmotendone del Truman show. E si comincia a parlare di un’attività su pista postmoderna, con i velodromi, riscoperti o ricostruiti, offerti come posti ideali, oltreché ormai obbligatori se si vuo­le pedalare in città evitando i rischi del traffico: più centri-benessere che contenitori di tesa ed impegnata attività sportiva, ma pazienza.
Siamo andati troppo lontano, partendo dal circuito olimpico dei Giochi di Mosca 1980? For­se sì, ma chi ha deciso che andare lontano significhi sbagliare strada? E poi siamo ca­so­mai andati lontano pedalando in avanti, non all’indietro.
Ma magari chi scrive queste ri­ghe sta in un nuovo Truman show e molto semplicemente non se ne è accorto. E allora, chi siete voi che leggete? At­tori, cospiratori, cospirattori?
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