Rapporti&Relazioni
Il doping democratico

di Gian Paolo Ormezzano

Greg LeMond, plurivincitore del Tour de France, primo ciclista americano da grossi traguardi stradali, si è detto quasi sicuro del fatto che mol­ti ciclisti ormai adottano in ga­ra motorini integratori dello sforzo, congegni cioè abilissimamente dissimulati dentro le biciclette, in maniera tale da sfuggire ai controlli che peraltro, sempre secondo LeMond, sono tutt’altro che validi e invasivi. È chiaro che saremmo, che siamo di fronte ad una sorta di nuovo doping, che intriga Le­Mond ancor più di quanto lo in­trigò il da lui sempre supposto (e poi da altri provato) doping del suo connazionale statunitense Lan­ce Armstrong. Doping chimico degli uomini, doping meccanico anzi elettronico delle biciclette, che bello.
Premesso che ai giovani moderni e almeno un poco danarosi interessa non tanto di sapere se le bici dei cor­ridori, da Tour e non solo, han­no la cosiddetta assistenza, cioè il motorino interno, ma come è questo motorino, se lo si può comprare e a quanto, se eventualmente serve anche come telefonino, telecamera, ipad, ipod, smartphone e cacciatore di pokemon. Perché i motorini sono da un po’ di tempo inseriti, con tanto di spiegazioni a giustificare anche il costo, nelle bi­ciclette da turismo impegnato o fa­cilitato (stessa cosa), però è chiaro che i motorini di un Tour sono me­glio, anzi sono il meglio del me­glio. Nessuno scandalo, comunque, e invece tanta curiosità.

Secondo LeMond i motorini non sono rintracciati semplicemente perché nessuno vuole davvero rintracciarli. Povertà accettata di mezzi, paura dello scandalo, timore riverenziale nei riguardi di atleti famosi iperapplauditi e santificati, e addirittura voglia inconscia di non fare del ma­le allo sport tanto amato e già solcato dal doping… Tutto po­trebbe concorrere all’ignavia giustificabile o quasi.
Qui molto semplicemente vogliamo cercare di precisare ulteriormente, con l’aiuto dei motorini e di LeMond, il concetto di doping, visto che insorge un nuovo elemento di tipicizzazione, di classificazione. Il doping classico è sommarissimamente definibile come qualcosa di estraneo all’organismo, introdotto nell’organismo stesso per spingerlo a produrre più energia, o a lavarsi più in fretta dalle tossine da fatica, paralizzanti. Si parla di prodotti chimici e di organismi fisici. Cosa si dovrebbe dire se il doping nascesse da un prodotto altamente naturale, un’erba, un fiore? In fondo esistono già cer­ti prodotti della natura, non da sintesi chimica o da operazioni di laboratorio, che fanno un gran be­ne.

Il doping tecnologico è tutto da scoprire e dunque da catalogare, classificare, casomai limitare. Tecnologico è il doping di Pistorius con le sue protesi: ma è ipocrita vietare lo spot assoluto, quello delle classifiche senza limiti di cosiddetta disabilità, a chi sopperisce in qualche modo ad una grave ingiustizia, quale è (sarebbe) quella di gareggiare con le gambe amputate e però senza protesi. Co­sa allora si fa domani con un maratoneta che si è cambiato il cuore malato semplicemente normale, trapiantandosene uno “special” di un suo simile o di un orango? O uno artificiale? Invece di applaudirlo per la sua intelligenza e il suo coraggio pionieristico, lo si condanna, o lo si relega in gare co­munque di seconda fascia?

Questa dei motorini ci pare una tematica utile per im­mediate e appariscenti esercitazioni di demagogia, di farisaismo. E di approsimazione. Per esempio, la scoperta dei motorini secondo noi rischia di essere “soltanto” quella di campi magnetici in continuo spostamento, utili per esaltare l’effetto volano della ruo­ta. Una innovazione tecnologica sicuramente di portata inferiore a quella della ruota libera o del cambio di velocità, che pure vennero celebrate come progresso puro e semplice.
A parte il fatto che il pissi-pissi bao-bao procura problemi soprattutto agli anziani, incapaci come invece i giovani di bypassare lo scandalo per appurare le qualità dell’innovazione, a parte il fatto che ormai un bel po’ di danno è comunque stato fatto all’immagine complessiva, già sfregiata, del ciclismo, chi scrive queste righe insiste nel fornire il suo parere rispettato o comunque bene ospitato. Quello per cui ci sono criminalizzazioni troppo facili di novità che invece me­riterebbero studi per il loro sfruttamento più corretto e - massì - democratico.

Già ci è occorso di scrivere proprio qui che il prodotto che permise ad Arm­strong autentici miracoli fisici do­po essere uscito dal tunnel del can­cro dovrebbe essere studiato bene e distribuito a vecchi, bambini e malati, perché è chiaro che fa del gran bene all’organismo. Ades­so ci chiediamo se, anziché demonizzare i motorini, non è il caso che li si derubrichi lessicalmente (mo­torini è troppo) e si pensi a innovazioni per tutti portate dai campi magnetici. Importante è che il progresso venga studiato e che ad esso abbiano accesso tutti: la vera criminosità di tanto cosiddetto doping consiste nella slealtà ge­nerata dal fatto che c’è chi ce l’ha a disposizione e chi no, per carenza di informazioni e di denaro.
E adesso tirate pure le pietre.
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