Editoriale
di Pier Augusto Stagi




TOUR D’ITALIE. A Sanremo è iniziato il Tour. La sfida tra gli Astana e i Tinkoff di Contador è partita con la cronosquadre sulla Riviera dei Fiori. Fabio Aru, Mikel Landa e “la compagnia dei celestini” hanno lavorato sodo anche e soprattutto in nome e per conto di Vincenzo Nibali. L’obiettivo era chiaro: ottenere il massimo in questo Giro d’Italia e fiaccare il più possibile le ambizioni “in giallo” di Alberto Contador e di tutti gli uomini di Oleg Tinkov. Non si poteva portare a Milano un Contador in carrozza. Non gli si poteva lasciare il peso della corsa, anche perché lo spagnolo, non essendo fesso, non si sarebbe mai fatto carico di questo onere. Lui voleva correre solo di rimessa in attesa della crono “monstre” di Valdobbiadene: lì sarebbe iniziato e finito il suo Giro d’Italia. Il merito degli Astana è stato quello di rendere la corsa subito dura. Hanno ingaggiato una sfida sulla velocità e i continui rilanci. Era l’unico modo di mandare fuorigiri il fuoriclasse spagnolo, proprio quello che lui non voleva che accadesse. L’Astana, sapendo perfettamente che al Tour dovrà vedersela anche con i Quintana, i Froome, i Pinot e via elencando, ha cercato in tutti i modi di fiaccare le velleità di un avversario che non andava e non va assolutamente sottovalutato. Hanno perso il Giro, in pratica l’hanno perso ai punti, ma i frutti del lavoro fatto si vedranno al Tour. Questo è almeno quello che spera Vincenzo.

NON TOCCATE I GRANDI GIRI. Il presidente Cookson è arrivato al Giro il 21 maggio scorso, in occasione della tappa di Vicenza. Quella non è stata solo l’occasione per fare un punto con il comitato organizzatore dei Mondiali 2020, ma anche per scambiare due parole con i giornalisti presenti alla “corsa rosa”. Tanti gli argomenti trattati, tra questi anche la durata dei Grandi Giri. Al presidente è stato chiesto: Giro e Vuelta rimarranno di tre settimane? Come a dire che il Tour non si tocca, che la Grande Boucle è tutta un’altra cosa, come del resto è e resterà per lungo tempo. La risposta è stata a dir poco sibillina, per non dire preoccupante. «È opinione comune che i giorni di gara in assoluto siano troppi, ma ci sono buone ragioni economiche che giustificano questo». No caro presidente, non ci sono buone ragioni economiche che giustificano la durata di tre settimane per Giro e Vuelta, ma ce ne sono almeno un paio, assolutamente imprescindibili, che obbligano a mantenere questo stato di cose: una è storica e l’altra tecnica. Per comprendere quella storica è sufficiente osservare gli albi d’oro di queste due fantastiche corse. Basta dargli un’occhiata, ogni tanto, magari prima di spegnere la luce e concedersi alle braccia di Morfeo. Poi c’è una ragione tecnica, tutt’altro che trascurabile. Chi vince un Grande Giro deve essere un corridore completo, capace di difendersi sul piano, in salita, in discesa e nelle prove contro il tempo, ma deve avere in modo particolare doti di resistenza, recupero e tenuta. Sono queste le caratteristiche fondanti che differenziano un buon ciclista da un grande corridore da corse a tappe. Se si riducessero i giorni di gara, da tre a due settimane, cambierebbe radicalmente l’identikit dell’atleta capace di aggiudicarsi questo tipo di corse. Non parleremmo più, come fanno da tempo i nostri cugini d’oltralpe, di “giganti della strada”, ma di normali e semplici pedalatori che non fanno nulla di incredibile ed eccezionale. Se questo pericolosissimo processo di normalizzazione prendesse piede, con il “fair play” esasperato e le limitazioni meteo ipotizzate, sarebbe la fine del nostro sport. Vogliamo la sicurezza e il bene di questi ragazzi, ma non bestemmio se vi ricordo che il ciclismo colpisce l’immaginazione degli sportivi nel momento in cui a prevalere è il coraggio dei protagonisti, capaci di meravigliare gli astanti. Oggi in tanti vanno in bicicletta. Oggi anche il ragioniere di Calusco d’Adda corre la Maratona delle Dolomiti: scala in un sol giorno cinque o sei passi dolomitici. Se si vuole portare lui e i suoi amici sulle strade del Giro, del Tour o della Vuelta è necessario che lo spettacolo sia degno di questo nome. È necessario che i protagonisti siano in grado di far vedere in maniera evidente e chiara cosa significa essere corridore con la “C” maiuscola. Se prevarrà il “gne gne” lamentoso delle varie associazioni vincerà la bicicletta - intesa come mezzo di locomozione salutistico e modaiolo - e a perdere sarà il ciclismo. Questo lo deve avere ben chiaro in mente il presidente Cookson e con lui i corridori tutti. Avendo visto come Contador, gli Astana e Aru hanno corso quest’ultimo Giro, avendo apprezzato la battaglia messa in scena dal primo all’ultimo giorno, bene, sono molto più sereno.
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