Gatti & Misfatti
Per un nuovo Mondiale

di Cristiano Gatti

Arriva un altro Mondiale e già mi viene il mal di testa. Questa corsa è l’espressione massima, la vera sublimazione, delle gare in linea, cioè proprio di quel settore che ci vede in default da or­mai sei anni (ripetiamola, la filastrocca dell’ultima vittoria in una classica monumento: Gi­ro di Lombardia 2008, Da­miano Cune­go).

Andiamo all’appuntamento iridato con un nuovo ct, Davide Cas­sa­ni, e già che ci siamo mi piacerebbe tanto l’idea di cogliere l’occasione per avere an­che un nuovo Mondiale. Un nuovo Mondiale? Sì, tutto diverso ri­spetto agli ultimi. E non tanto per il risultato finale, perché questa è una corsa talmente complessa che ci si mette un at­timo a perderla. Dico diversa nel suo insieme, nel suo prima e nel suo dopo, così da godercela quanto meno con maggiore serenità e tutto sommato anche con maggiore serietà.

Ultimamente il Mondiale italiano era stampato in fotocopia. Prima di tut­to, undici mesi a dire che “il per­corso è mol­to duro”. E pa­zienza se poi nove vol­te su dieci arrivano quaranta corridori in volata. Facciamo sopralluoghi, studiamo metro per metro, mi­suriamo con la bindella la salita e lasciamo a casa i velocisti (di fon­do). È duro, è duro, orca se è duro: la salita non sembra così cattiva, ma prova a farla quindici volte, vedi come ti re­sta nelle gambe... Tanto, il lu­nedì successivo, chi si ricorda più le pirlate che abbiamo raccontato per undici mesi.

Altro classico del nostro Mondiale è che “siamo la squadra da battere”. Di­fat­ti, puntualmente, ci battono. Nel­le conferenze stampa della vigilia lo staff azzurro ri­conosce al massimo che gli altri Paesi hanno qualche individualità di pregio, ma complessivamente, come squadra, non ci pio­ve: l’Italia è sempre il Dream Team.

Con questa rocciosa e indiscutibile premessa, ne consegue la strategia. Altro classico: “Toccherà a noi fare la ga­ra, non possiamo correre il rischio di portare i velocisti in carrozza allo sprint finale (domanda cretina cui nessuno ha mai risposto: e portarlo sempre anche noi, un buon ve­locista?)”. Di più, molto di più: “Do­vremo rendere la corsa du­ra sin dall’inizio, se commettiamo l’errore di portarceli a spasso chi li stacca più, alla fine, i velocisti?”.

Si capisce, siamo la Na­zio­na­le dei geni e degli strateghi: prima, abbiamo le idee chiarissime. Pre­vediamo tutto, teniamo conto di tutto. Ci riuniamo in continuazione a dirci chissà che. Poi, fi­nalmente, la corsa. E fatalmente la sconfitta. Così, ultimamente anche il dopo ha il suo classico azzurro, forse il più gustoso di tutti: “Niente da recriminare: siamo stati perfetti fino all’ultimo giro, poi…”.

Scrivo personalmente a Da­vide Cassani, che la storia az­zurra la conosce meno be­ne soltanto di Alfredo Martini. Da­vide, se ce la fai, sta­volta cambiamo disco. Al­meno quello. Il Mondiale che mi piacerebbe vedere è certamente il Mondiale vinto. Ma davvero non è questo il principale nodo: con il materiale che ci ritroviamo, niente di più probabile dell’ennesima sconfitta. Non importa. Ve­dia­mo però di essere realisti e di fare le persone serie, stavolta. Inaugu­ria­mo un nuovo corso. Basta fare i fan­faroni, raccontando alla vi­gilia che siamo la squadra da battere, che dovremo fare noi la corsa, che do­vremo renderla dura sin dall’inizio per fare fuo­ri i velocisti. E magari basta raccontarci a babbo morto che siamo stati perfetti fino all’ultimo giro, poi….

Ti prego, ct: voltiamo pa­gina almeno nello stile. An­dia­mo sereni al Mon­diale sa­pendo che siamo una squadra deboluccia (diamine, mica possiamo pretendere che Nibali ci risolva sempre tutti i problemi, non è Padre Pio). Siamo una squadra così così, con tanti giovani, piena di buona vo­lontà, soprattutto di orgoglio tricolore, e non esiste al mondo che la corsa debba pesare su di noi. Se la facciano gli altri, una volta tanto. E noi proviamo a fare i furbi, in sen­so buono, sfruttando con il no­stro proverbiale estro e la no­stra inimitabile flessibilità di pensiero tutte le occasioni favorevoli. Insieme, voliamo bassi e prendiamo quello che arriva, sicuri soltanto di una cosa: che avremo corso da squadra, scolorendo la maglia con fiumi di sudore, leggeri alla fine per aver compiuto il proprio dovere. A me basta so­lo questo, co­me cittadino italiano non pretendo niente di più. Un nuo­vo ct per un nuovo Mondiale. In segreto, soltanto in segreto, coltivo il grande sogno personale: andare sotto al podio, mentre risuonano le note del vecchio Mameli, dicendoci per una volta qualcosa di nuo­vo: “Siamo stati imperfetti fino all’ultimo giro, poi…”.
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