Arriva un altro Mondiale e già mi viene il mal di testa. Questa corsa è l’espressione massima, la vera sublimazione, delle gare in linea, cioè proprio di quel settore che ci vede in default da ormai sei anni (ripetiamola, la filastrocca dell’ultima vittoria in una classica monumento: Giro di Lombardia 2008, Damiano Cunego).
Andiamo all’appuntamento iridato con un nuovo ct, Davide Cassani, e già che ci siamo mi piacerebbe tanto l’idea di cogliere l’occasione per avere anche un nuovo Mondiale. Un nuovo Mondiale? Sì, tutto diverso rispetto agli ultimi. E non tanto per il risultato finale, perché questa è una corsa talmente complessa che ci si mette un attimo a perderla. Dico diversa nel suo insieme, nel suo prima e nel suo dopo, così da godercela quanto meno con maggiore serenità e tutto sommato anche con maggiore serietà.
Ultimamente il Mondiale italiano era stampato in fotocopia. Prima di tutto, undici mesi a dire che “il percorso è molto duro”. E pazienza se poi nove volte su dieci arrivano quaranta corridori in volata. Facciamo sopralluoghi, studiamo metro per metro, misuriamo con la bindella la salita e lasciamo a casa i velocisti (di fondo). È duro, è duro, orca se è duro: la salita non sembra così cattiva, ma prova a farla quindici volte, vedi come ti resta nelle gambe... Tanto, il lunedì successivo, chi si ricorda più le pirlate che abbiamo raccontato per undici mesi.
Altro classico del nostro Mondiale è che “siamo la squadra da battere”. Difatti, puntualmente, ci battono. Nelle conferenze stampa della vigilia lo staff azzurro riconosce al massimo che gli altri Paesi hanno qualche individualità di pregio, ma complessivamente, come squadra, non ci piove: l’Italia è sempre il Dream Team.
Con questa rocciosa e indiscutibile premessa, ne consegue la strategia. Altro classico: “Toccherà a noi fare la gara, non possiamo correre il rischio di portare i velocisti in carrozza allo sprint finale (domanda cretina cui nessuno ha mai risposto: e portarlo sempre anche noi, un buon velocista?)”. Di più, molto di più: “Dovremo rendere la corsa dura sin dall’inizio, se commettiamo l’errore di portarceli a spasso chi li stacca più, alla fine, i velocisti?”.
Si capisce, siamo la Nazionale dei geni e degli strateghi: prima, abbiamo le idee chiarissime. Prevediamo tutto, teniamo conto di tutto. Ci riuniamo in continuazione a dirci chissà che. Poi, finalmente, la corsa. E fatalmente la sconfitta. Così, ultimamente anche il dopo ha il suo classico azzurro, forse il più gustoso di tutti: “Niente da recriminare: siamo stati perfetti fino all’ultimo giro, poi…”.
Scrivo personalmente a Davide Cassani, che la storia azzurra la conosce meno bene soltanto di Alfredo Martini. Davide, se ce la fai, stavolta cambiamo disco. Almeno quello. Il Mondiale che mi piacerebbe vedere è certamente il Mondiale vinto. Ma davvero non è questo il principale nodo: con il materiale che ci ritroviamo, niente di più probabile dell’ennesima sconfitta. Non importa. Vediamo però di essere realisti e di fare le persone serie, stavolta. Inauguriamo un nuovo corso. Basta fare i fanfaroni, raccontando alla vigilia che siamo la squadra da battere, che dovremo fare noi la corsa, che dovremo renderla dura sin dall’inizio per fare fuori i velocisti. E magari basta raccontarci a babbo morto che siamo stati perfetti fino all’ultimo giro, poi….
Ti prego, ct: voltiamo pagina almeno nello stile. Andiamo sereni al Mondiale sapendo che siamo una squadra deboluccia (diamine, mica possiamo pretendere che Nibali ci risolva sempre tutti i problemi, non è Padre Pio). Siamo una squadra così così, con tanti giovani, piena di buona volontà, soprattutto di orgoglio tricolore, e non esiste al mondo che la corsa debba pesare su di noi. Se la facciano gli altri, una volta tanto. E noi proviamo a fare i furbi, in senso buono, sfruttando con il nostro proverbiale estro e la nostra inimitabile flessibilità di pensiero tutte le occasioni favorevoli. Insieme, voliamo bassi e prendiamo quello che arriva, sicuri soltanto di una cosa: che avremo corso da squadra, scolorendo la maglia con fiumi di sudore, leggeri alla fine per aver compiuto il proprio dovere. A me basta solo questo, come cittadino italiano non pretendo niente di più. Un nuovo ct per un nuovo Mondiale. In segreto, soltanto in segreto, coltivo il grande sogno personale: andare sotto al podio, mentre risuonano le note del vecchio Mameli, dicendoci per una volta qualcosa di nuovo: “Siamo stati imperfetti fino all’ultimo giro, poi…”.
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