Prendi la bicicletta e vai, già, come suggerisce da oltre sessant’anni l’antico invito di un libro di Giuseppe Ambrosini, l’Avvocato per antonomasia di un altro ciclismo: un antico adagio che non diventerà mai vecchio E che tanto meno può concepire come suo approdo il destino improprio di una morte tragica. Prendi la bicicletta, e vai, quando arriva la primavera, o quando avanza all’orizzonte l’estate. E vai, come continuiamo ad andare in tanti, come faceva Giovanni Mattiello, uno di noi, a rintracciare - ciascuno per le strade del proprio mondo, che siano le Langhe o il Ravennate, la Brianza o le ascese del Trentino, Ischia o l’Elba, lui fra le plaghe verdi di Terra di Lavoro - gli amici, i colleghi di ufficio o di Ospedale, i compagni di squadra ideale per una tirata ancora, a fare gruppetto con quegli impagabili amatori della domenica e dei giorni festivi che del ciclismo rappresentano l’inossidabile anima pura.
Quel tam-tam, per Mattiello, fra la salita dei Gradilli e i dossi che portano a Caiazzo e a Casertavecchia, fra la maestosa suggestione dei Ponti di Annibale e Valle di Maddaloni, a predicare ciclismo, a fare proseliti... Quel plotoncino che si allunga, che si fa maggiore, una macchia di colore festosa e variegata che si distende sulla Nazionale - c’è una Nazionale a fare breccia nell’ambizione di ogni ciclista -, come una scia di fedeli pellegrini che si aggregano al seguito. Prendi la bicicletta e vai, e come sta diventando sempre più intollerabilmente arduo e rischioso, oggi, sulle strade sconnesse che ben conosciamo ma mai abbastanza per non evitare di cadere, popolate sempre più avidamente di SUV irrispettosi e di Tir arrembanti a tutte l’ore, con le moto in più che vi sfrecciano ai lati incuranti del loro risucchio da effetto vento. E quasi quasi ti rassegni a non uscire giammai da solo, perché di un gruppo intero forse gli utenti motorizzati della strada avranno maggior timore reverenziale...
Prendi la bicicletta e vai, alla ricerca di quella pace, di quella serenità con te stesso che unico dona il ciclismo, “parlo con me”, nel rispetto della natura e nella ricerca struggente di un panorama nuovo che ti era sfuggito sino a ieri, “‘ hai mai fatta la salita di Valogno?”, e che da oggi semmai riempie ancora di più lo sguardo e ti illumina la mente. Prendi la bicicletta e vai, ci riferiamo ancora come emblema geografico al nostro sfortunato Mattiello finito dopo dieci giorni di agonia, sul litorale della Domiziana, da stare attenti mille ed una volta in più alle traverse laterali di Mondragone, sulla arrampicata di Sessa Aurunca verso Roccamonfina, con le auto che in discesa contro vanno a tagliare le curve, su quel viale della Reggia di Caserta dove è una gimkana continua per siglare un percorso netto di incolumità.
Ma quel gusto della vita immenso che è dono proprio della bici, quell’inforcarla che è come gettonare ogni volta un sogno di giovinezza per riviverlo ancora, non può e non deve conoscere oltre il dolore, l’umiliazione, la negazione. Sensibili alle foglie, sull’equilibrio di due ruote al massimo di un centimetro di diametro, continuiamo a chiedere a tutti - da questa rubrica - solo un colpo di freno in più, un briciolo di pazienza ad un incrocio. Non chiediamo nulla che costi. O che tolga ad altri. Invochiamo da chi è alla guida di automobili arroganti e autoarticolati tracotanti un gesto di rispetto, non di pietà. Nel nome di Giovanni Mattiello, investito e lasciato in fin di vita da uno sconosciuto pirata della strada a Sant’Angelo in Formis, adesso, di Leopoldo Perrone, a San Castrese, venti anni fa, di tanti altri ciclisti sfortunati e vittime della indisciplina stradale senza colpe. E in tutte le province di tutte le regioni di uno Stato - l’Italia - che continua a lavorare per svuotare le carceri dei violenti e non difende davvero i non violenti, gli indifesi. E ha più a cuore le sorti di Caino, quelli fanno più rumore, più audience, che non quelle di Abele.
Reclamiamo un po’ di pace sulla strada. Nel nome di quello che tutti, da bambini, un giorno - una prima bicicletta come regalo ambito, non lo ricordate ? -, in provincia di Caserta e non, siete stati. Ciclisti nel cuore e per amore.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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