Va bene, continuate pure a ignorarci. A sottovalutarci, a sminuirci. Continuate a credere che l’Italia sia una nazione dedita esclusivamente al calcio, nei ritagli di tempo che lasciano le attività primarie come mafia e mandolino. Continuate a raccontarci che “vale più un cross di Roccotelli dell’intera stagione di basket e di volley, dell’intero mondiale F.1, nonché di Giro e Tour messi assieme”.
Continuate così, a parlare di piste ciclabili in campagna elettorale e a sbattervene altamente durante la legislatura. Continuate a fare i pavoni sulle vostre bici a scatto fisso mentre arrivate in consiglio comunale o a Montecitorio, in realtà facendo solo i pappagalli del mondanume metropolitano creato in laboratorio dai creativi della moda.
Continuate a considerarci dei fastidiosi rompiscatole, sempre tra i piedi, sempre in mezzo alla strada, sempre a sfrecciare arroganti tra i pedoni (qualche volta è vero, anche noi abbiamo molti deficienti tra le nostre fila, ma ogni famiglia ha la sua pecora nera).
Continuate, continuate.
La bellezza di noi popolo italiano è che diventiamo subito delle iene quando all’estero ci giudicano per stereotipi, quelli dall’ugola d’oro e dalla furbizia truffaldina, quelli dei bunga bunga e della pizza a tutte le ore, quelli della lupara facile e dell’inaffidabilità congenita. Non accettiamo i luoghi comuni, pretendiamo che fuori riconoscano i nostri cambiamenti, i nostri passi avanti, la nostra crescita sociale. Dannazione, non siamo tutti cialtroni e voltagabbana. C’è dell’altro, in Italia. Qualcosa di nuovo e di diverso.
Eppure, parlando di noi tra di noi, siamo esattamente prevenuti e ottusi come gli stranieri che non sopportiamo più. Le biciclette stanno invadendo l’Italia, quella delle città e quella delle montagne, quella del tragitto casa-ufficio, casa-scuola, casa-supermercato, ma anche quella dei passi dolomitici, dei nove e dei dieci colli appenninici, dei raid e dei pellegrinaggi. Chiunque esca di casa e si addentri in una valle, tra le campagne, sui lungomare non può - proprio non può - non notare questa moltitudine sempre più massiccia, sempre più capillare, sempre più varia e variopinta dei ciclisti, chi per necessità, chi per passione, chi per mania ossessiva, chi per velleità megalomane, chi per semplice amore della libertà. Eppure è come se niente fosse: basta una partita di rugby al Flaminio o una partita della Pennetta al Foro Italico per parlare di boom, di nuova febbre italiana, ma alla bicicletta dedichiamo sempre e solo rapidi pensieri del tipo “quello sport di stupidi drogati”.
Bisogna essere in malafede, oppure avere le fette di soppressa sugli occhi, oppure fingere di non vedere, per non capire e per non ammettere che questo strano virus sta dilagando a velocità supersonica. Il contagio investe tutti, piccolini e vecchi, uomini e donne (quante donne), atletici e anchilosati, convalescenti e obesi, timidi e bulli. Non è possibile non notarli, o notarli soltanto quando vanno rimossi a colpi di clacson dalla propria frenesia automobilistica.
Perché allora l’Italia parla così poco di questo tsunami a due ruote? Perché chi conta e chi canta non dedica attenzione alle nuove esigenze di questo italiano particolare, che si muove su due ruote, cominciando - almeno cominciando - a disegnargli un Paese adeguato, con più sicurezza e più comfort? Perché alberghi e agriturismi cominciano a declinare in chiave ciclistica e dunque ecologica la propria offerta, con parcheggi a tema, serate a tema, diete a tema, percorsi a tema, mentre le istituzioni restano costantemente voltate dall’altra parte, sempre in fregola per costruire gli stadi nuovi, i centri commerciali nuovi, i cinema nuovi, gli ipermercati nuovi, “perché la nuova idea di stadio deve coprire l’intero arco delle esigenze, mica si può pensare solo alla partita”?
Perché? Io sinceramente non lo so. Sospetto soltanto che la gente importante continui a suonarsela e cantarsela nel chiuso dei circoli e delle club-house, concentrata sempre e unicamente sugli affari e su come fare affari. Ma forse è solo un cattivo pensiero.
Ad ogni modo fate pure. Continuate a suonarvela e a cantarvela. Continuate a ignorarci. Continuate a non notarci. Non c’è problema. Prima o poi sarete costretti a farlo. Perché mentre ci snobbate e ci sottovalutate, noi vi stiamo accerchiando.
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