Oddio, mi si è ristretto il ciclismo. Nemmeno avessimo sbagliato il candeggio, ripartiamo con un movimento molto più piccolo, diciamo pure ridotto all’osso. Con poca polpa da rosicchiare.
L’inverno è trascorso tra premiazioni e convegni, tutte nobilissime occasioni per fare il punto, per tracciare linee programmatiche, per avviare la ricostruzione. Alla faccia delle chiacchiere sciolte. Ne ho sentite veramente di tutti i colori. A partire dai burocrati federali, per arrivare allo stesso sindacato corridori, passando per medici e organizzatori, diesse e massaggiatori, volti televisivi e pierre, ognuno ha l’idea formidabile per rilanciare la negletta creatura nostra. Tra cotanto sferragliare di cervici, io mi sono preso la briga di segnarmi soltanto una cosa veramente fondamentale, una promessa fatta dal nuovo presidente Uci Cookson (impressione iniziale: mi sembra un tipo commestibile), una promessa che tocca una questione secondo me essenziale: la riforma dei calendari. Bisogna rifare molte cose, ma questa mi sembra davvero la prima: non esiste che in California si corra durante il Giro d’Italia, non esiste che il giro del condominio conti a livello di punteggi quanto - o quasi - il Tour de France. Mettiamoci mano, per dio, e finiamola una volta per tutte con la retorica idiota della divulgazione planetaria. Certo che è auspicabile, ma non a costo di buttare tutto in farsetta.
Detto questo, mi sembra di poter aggiungere che poco si è detto sulle cause vere di questa crisi epocale. Se il ciclismo italiano è così ridotto (male), se oggi come oggi appare liofilizzato (senza una vera squadra di serie A, con il solo Nibali a reggere il confronto internazionale), le ragioni sono ovviamente tante. Io però mi sono stufato di dare colpe a tutto e a tutti, così da non arrivare mai al nucleo centrale delle questioni. È vero, tutti abbiamo concorso con il nostro mattoncino a buttare giù la vetrata, ma non possiamo nasconderci che qualcuno ne ha buttati più di altri. Personalmente non mi voglio nascondere, personalmente ho scelto una conclusione definitiva: se devo dire quale è il motivo primo di questo ciclismo italiano ridotto all’osso, proprio il primo di tanti motivi, dubbi non ne ho più, il primo di tutti i motivi per me si chiama doping.
E via con i se, i ma, i però. Già li sento in lontananza: tutti gli sport sono dopati, il doping c’è sempre stato, il ciclismo ha peccato di masochismo, il ciclismo è lo sport più coraggioso e avanzato nell’antidoping. Tutto giusto e tutto vero. Però io sbaracco subito queste rispettabili cianfrusaglie e vado al sodo: per vent’anni - ormai sono proprio venti - la grande platea degli sportivi ha subito un tale bombardamento di scandali, di risultati fasulli, di bugie colossali, di vergogne inenarrabili, che umanamente non le si può imputare di avere voltato le spalle al ciclismo per puro capriccio, o per moda, o per posa. Peggio ancora: lo stesso bombardamento a tappeto l’hanno subìto gli sponsor, e dio solo sa quanti ne abbiamo persi per disamoramento e disillusione, per delusione e imbarazzo. Chiamiamo le cose con il loro nome: un sacco di appassionati, quelli danarosi che pagano le squadre e quelli squattrinati che affollano le strade, se ne sono andati per colpa di un sommo tradimento. Così lo chiamo, né più, né meno: tradimento. Questo il vero motivo, questa la madre di tutte le cause.
Sì, per vent’anni il ciclismo ha tradito. E non c’è niente di peggio, dopo il tradimento, della rabbia di un tradito. Che vogliamo dire, a questi amanti messi in fuga da vent’anni di meschinità e di bugie: vogliamo raccontare che non è come sembra, che possiamo spiegare? Io dico che dobbiamo soltanto abbassare lo sguardo e chiedere umilmente scusa. Sempre che le accettino, sempre che abbiano ancora voglia di ascoltare. Dopodichè, resta aperta una sola strada: ricominciare da zero in un altro modo, in un modo nuovo. Senza fare gli offesi e i permalosi, senza stupidi scatti d’orgoglio, senza la spocchia degli impuniti. Chi sbaglia paga, noi abbiamo sbagliato tantissimo e stiamo pagando tantissimo. Ma l’importante, nella vita, è crescere. Può darsi che di un ciclismo cresciuto, migliore, nuovo, qualcuno possa innamorarsi ancora. Bisogna provarci, senza tanti ma, se, però. Dobbiamo cominciare da subito, da questo 2014 pieno zeppo di novità. Non possiamo lasciarci sfuggire l’occasione: è un dovere. L’alternativa è finire come il cinema in bianco e nero, come l’Ovomaltina e come la boxe: tra i ricordi malinconici di un tempo lontano, senza possibilità di ritorno.
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