Rapporti&Relazioni
Un Giro per l'Italia

di Gian Paolo Ormezzano

Le pagine di cronaca de La Stampa, le più lette, le più vicine al lettore, le più esplicite, legate come sono al di­venire quotidiano della gente semplice, e dunque le più difficili e anche le più stimolanti da frequentare giornalisticamente, mi hanno chiesto quaranta righe tipografiche particolari sul Giro d’Italia, il giorno della presentazione a Torino. Qualcosa di de­cisamente “mio”, visto che sia la presentazione tecnica della cor­sa, sia la cronaca mondana della presentazione stessa, nel meglio teatro cittadino e in diretta televisiva, erano già state scritte. Ci ho pensato su e mi è venuta in mente una chiave per l’articolo ma anche per il ciclismo. E per una rubrica - questa - valida per tuttoBICI.
Ho riflettuto su come il ciclismo deve:
a) lottare con la concorrenza di altro sport, specie calcio e For­mu­la1, pieno di soldi, ricco di vellicazioni psicologiche e di fre­quentazione dell’estremo, che sia la violenza di stadio o l’incidente di pista;
b) deve lottare contro quel ma­le­detto se stesso afflitto dalle ri­cadute continue nel doping;
c) deve lottare addirittura contro la sempre minore voglia, nel mondo dei consumi, di poesia e di semplicità e di senso della fatica;
d) deve lottare, massì, contro quella tossicità che qualcuno vuo­­­le chiamare progresso.

Sulla scia delle considerazioni legate al Giro 2011, che Lega permettendo sa­rà, anche se meno che nel 1961 per il centenario dell’Unità, pur sempre farcito di richiami diciamo risorgimentali, e che però si raccomanda anche, in una sorta di Giro bis, quello classico, co­me corsa dura e - si spera - chia­ra e forte, ho detto a me stesso e ho scritto per i miei tre o quattro lettori che nessuno dei due Giri, quello ciclistico e quello ex­tra, ormai può da solo bastare per il cosiddetto successo popolare, e che quindi è un bene che si presentino, si offrano insieme.
Il problema è quello del 2012, quando non ci sarà nessuna Uni­tà o cosa simile da celebrare. Basterà il Giro diciamo normale, semplice, il Giro-Giro? E al­lo­ra ho pensato ad un Giro che ogni anno dovrebbe presentarsi doppio. Il Giro-Giro e a fianco quello legato ad una si­tua­zione, se non ricorrente quan­to meno persistente o addirittura emergente, individuata scovata proposta imposta. Per esempio Gi­ro (ma sarebbe me­glio dire ciclismo?) e poesia o almeno letteratura, Giro e fatica, Giro e progresso, Giro e conservazione dei buoni sentimenti, Giro e campagna, Giro e città, anche Giro e osterie, Giro e canzoni...

Per ogni edizione un tema, con il lancio di una sorta di contesa di secondo ti­po, con più considerazioni che pre­mi, e però con una qualche classifica. Non dovrebbe essere difficile trovare i soldi, anche perché non ce ne vogliono mol­ti. In pratica, ad ogni edizione, Giro d’Italia più inchiesta sul­l’Italia, su noi stessi, sui nostri vi­zi di­rom­penti, sulle nostre vir­tù residue: con la lente del ciclismo. Un giro per l’Italia. Par­tendo sempre da una domanda provocatoria, questa: cosa ci sta ancora fare il Giro d’Italia ciclistico in questa Italia?
Ci vorrebbe un testimonial grosso, e pazienza se un divo o una diva della televisione, magari di quelli che si spacciano per innamorati del ciclismo o che addirittura sono sinceri quando dicono che vorrebbero fare qualcosa per questo sport della loro infanzia. Un’auto che accompagna la corsa. Una miniredazione lontana ma duttile, attenta. Ogni giorno mezz’ora in video. Con un concorso, che magari premi con ci­bi e vini, o con pubblicazione in un libro delle frasi più belle o co­munque più interessanti.

Personalmente mi metto a disposizione dell’idea, nonostante che sia mia e che io abbia una pessima opinione di me stesso. Sono addirittura pronto ad un colloquio con Angelo Zomegnan, collega e ciononostante amico, collega e ciononostante capace di affrontare problemi che non sono soltanto giornalistici. Credo persino di avere un po’ di buone idee spicciole per la confezione del tutto. Idee giornalistiche e forse non solo. Ne ho abbastanza di andare per salotti e saloni e sentirmi dire o che il ciclismo è dopato, o che è un mistero quello del ciclismo ancora ama­to da tanti, o che “io adoro il ci­clismo, questo calcio mi fa schi­fo, ma penso che i tempi di Bar­tali e Coppi non tornino più”. Ne ho abbastanza ma tutto questo è servito per obbligarmi a pensare a come si può tentare di risolvere, cominciare a risolvere, comincicchiare a risolvicchiare il problema di uno sport pieno d’amore di gente comune e or­mai quasi vuoto di attenzioni da parte della gente che sta nelle grandi stanze dei piccoli micidiali decisivi bottoni.
Offerta speciale, dunque: due Giri alla volta. Segui uno vedi due. Vedi uno segui due. Subito per il 2012 una mezz’ora al giorno con la gente di strada, a chiederle ragione del perché è lì (meglio se piove, fa freddo, tira vento, meglissimo se nevica). Pronti alla dilatazione delle sue considerazioni. Sottofondo mu­sicale Bartali di Paolo Conte, lui che dice a lei che vuole aspettare il campione, “e vai al cine, vacci tu!”.

Nel 1999 ho seguito il Gi­ro per la Rai, in auto con Clau­dio Ferretti e Gianni Ippoliti, si doveva fare il contorno, Gianni ed io, del Processo alla tappa, tengo il ricordo di straordinari agganci del fortissimo personaggio televisivo con la gente, senza nessun copione scritto, e il rimpianto costante di dover lasciar perdere tanti spunti perché “non c’en­tra­va­no” con la corsa. Mi scopro - ora, qui - in senso di colpa, e forse ho scritto le righe che finiscono qui per espiare con il rimorso, che è poi il rimpianto senza sospiri ipocriti.
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