Scripta manent
Cavendish, in arte «Dedè»

di Gian Paolo Porreca

Abbiamo ancora qui, emozionante, la vo­lata di Mark Caven­dish, a Sanremo. E se ci int­e­nerisci una parziale profezia di gloria che da questa ru­brica - La seconda Legge di Ca­vendish, luglio 2007 - avreb­be felicemente colto nel segno, è ancora più giu­sto raccontare di una ana­lo­gia ciclisticamente maggiore. E meno personale.
Se uno sprint finale, se un testa-a-testa è sempre uno spasimo assoluto, e se nel­l’arco delle 100 Milano-San­remo, ad esempio, si di­scu­terà per sempre ancora se sia stato “davvero” Joseph Grous­sard a superare di un soffio Rolf Wolfshohl nel ’63, o viceversa, il successo di Cavendish su Haussler ci impone un parallelo, ed un ricordo, molto più strug­gente. Se non drammatico.

Mark Cavendish è qui, in primavera 2009, con il suo guizzo, come quel giorno, nell’autunno del 1956, An­drè Darrigade. Qui erano la Sanremo ed Heinrich Hauss­ler, allora correvano il Lom­bardia e Fausto Coppi.
E se per il tedesco Haussler, tanto giovane, 25 anni giusti, c’è davanti tutto il futuro per una rivalsa, quel Lombardia, e quel francese Darrigade, sa­rebbero stati per Coppi, 37 anni, ribelle tenace ad un de­clino annunciato, le sigle di un patetico commiato.
Il dolore pur lancinante del­lo stremato Haussler, riverso in terra, sul lungomare Cal­vino, non poteva competere certo - al ricordo - con la di­spe­razione, le calde lacrime versate al microfono di Ma­rio Ferretti dal nostro Cam­pio­nissimo, sulla pista del Vigorelli, alla sua estrema replica di autore.

Già, il tentativo di vin­cere un Lombardia ancora, il quinto, e farlo a distanza di dieci anni dal primo suc­ces­so... E cor­rendo poi per una nuova si­gla, neppure più con la Bian­chi dell’antico amore, no, ma per la inedita Carpa­no, una marca di liquori, qua­si ad ubriacare il de­sti­no... E an­dare in fuga con Ronchini, un ragazzino, sul Ghisallo, un neofita che però non avrebbe più avuto forza per darci dentro ad un certo punto...
Ed ecco così, a dieci chilo­me­tri dal Vigorelli la muta schiumante dei velocisti che li agguanta: Van Looy, De Bruyne, un Magni accidioso, Albani, Maule, Poblet...
Eppure, il Coppi di quel gior­no riuscì ad inventarsi an­cora un numero da inse­gui­tore sul velodromo, e sor­prenderli tutti, tutti, e sentire di poter alzare al cielo il brac­cio del trionfo più ma­gico... Fino alla incredibile ri­monta di Darrigade, spun­tato dalla ottava posizione, che lo andò a folgorare sulla linea... Un Andrè Darrigade, un emergente sprinter fran­cese, detto Dedè, che era sta­to appena tesserato - ironia della sorte - proprio per la Bianchi, e proprio per i buo­ni uffici di Coppi !
«Avessi dieci anni in meno, vedete, non piangerei co­sì...», resta il sunto razionale, firmato Coppi, di quello sprint indimenticato.
Quel Darrigade lì, che compirà 80 anni il 24 di questo mese, ven­tidue tappe al Tour, cam­pione nel mondo nel ’59 e per tre altre volte sul podio, è una gran bella storia da raccontare a Ca­vendish. E ad Haussler, ancor più.
Come la considerazione da tenere a mente e affidare ai nostri tecnici che tanto Dar­ri­gade quanto Cavendish, nei loro gesti atletici che coniugano potenza e colpo d’occhio, hanno dimostrato di aver fatto perfettamente te­soro della esperienza da pi­stard. Cavendish, si sa, è stato iridato dell’Americana, nel 2005 e nel 2008. E Dar­rigade, da dilettante, nel ’49, sconfisse addirittura Antonio Maspes, nella finale di un Gran Prix a Parigi. Quando era solo Andrè e non ancora Dedè.

Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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