Scripta manent
Il Direttore e Pierrot

di Gian Paolo Porreca

Lo sport, la nostra idea­lità di sport, smarrisce due te­sti­moni via così, in un tempo solo, in un week-end di fine feb­braio. Tanto lontano ancora dal primo giorno di primavera. Con Can­dido Cannavò, il grande gior­nalista della Gazzetta, e Pierre Bar­botin, il piccolo se­condo di Loui­son Bobet. Va via così, si in­vola, lascia più soli del solito. Ma resta tanto incredibilmente pro­fonda la vertigine nel cuore, che allo sport siamo una volta di più all’infinito grati, per la forza di evocazione che in noi - esso solo, in stagioni tanto univer­sal­mente povere di valori sentimentati ed etici - sa scol­pire: così nel ricordo, come nel dolore. Diciamo pure che il metallo dell’anima, ormai tetragono, resta permeabile al­meno alle sue emozioni. Ed allora, non sembri improprio, Cannavò e Barbotin sono stati due nostri straordinari com­pagni di strada, all’unisono. Di fantasia, e di filosofia, di vita.

Al maestro Candido, glielo abbiamo scritto una volta nell’83, quando diventò direttore della “rosea”, dobbiamo un tributo particolare, se vogliamo ano­malo: ma al tempo stesso con­segnare il modesto successo, o un enorme trofeo, per quel cor­rispondente da Catania - Candido Cannavò - che sa­reb­be un giorno assurto a stra­or­dinario direttore. Farci di­ven­tare, nei primi anni ’60, noi ragazzi tifosi del Napoli, che leggevamo cocciutamente la “ro­sea”, tifosi napoletani, sì, ma del Catania! Cosa volete, di quel Ca­tania garibaldino, primi anni ’60, ci appas­sio­nammo perdutamente, grazie alle cronache generose di Can­navò: recitavamo Michelotti e Castellazzi, Corti e Grani, Ca­ceffo e Szymaniak, Prenna e Calvanese, e un numero 7 sfi­gato di nome Battaglia, e una ala sinistra che faceva a gara con il Riva del Ca­gliari, quel Facchin sempre sul li­mite del­la Nazionale, e un portiere di riserva che era già Pizzul, non più Rado...
E una promessa argentina mai mantenuta, che si chiamava De­siderio... Come il destino del tram che ci portava a perdere, quelle domeniche, su un calcetto di pe­riferia. A Na­poli, tifosi del Ca­tania... E co­sa c’è in assoluto è di più gratificante, per un giornalista, maestro Candido, che il fare di sport, e di quel calcio co­raggioso di Carmelo Di Bella poi, un ra­gazzo da lontano? Quel tuo «da Catania», prima della Tv, era un so­gno di riscatto, dalla nostra fi­nestra.

APierre Barbotin, Pier­rot, il ciclista francese di tanta classe e poche vittorie, una decina, scom­parso ­a 82 anni, dobbiamo una lezione diversa. Da il­lu­minare, innanzitutto, dal mo­mento che parliamo di un passato remoto e sopito, nelle sue grandi linee. Barbotin, infatti, non resta celebre per i successi, ma per i se­condi posti, gli splendidi secondi posti, dietro al capitano ed amico Louison Bobet. Co­minciando da quella Sanremo del ’51, in cui Bobet e Bar­botin demolirono la resistenza degli italiani e dei belgi, e si disputarono il successo in un gentile testa a testa. Primo Bobet, secondo Barbotin... E proseguen­do, qualche giorno più tardi, al Criterium Na­tio­nal, quando an­cora loro due soli in fuga, erano pronti a giocarsi la corsa. E Bar­botin purtroppo cadde, al Bois de Boulogne, e Bobet fu costretto a vincere da solo, con il freno tirato e lo sguardo a sperare che Pierrot resistesse almeno al ritorno degli inseguitori... E primo e secondo, ancora, in quel 1951, al Campio­nato di Francia.
Le strade di Bobet e Barbotin si sarebbero poi divise, pur­troppo, a causa di una grave malattia che avrebbe costretto il secondo, per qualche anno, a limitare l’attività agonistica. Ma nel 1957, Barbotin sa­reb­be tornato ancora lì, a fianco, di Louison Bobet, come un ma­rinaio fedele di un novello Ulisse che cerca terre sco­no­sciute, per aiutarlo a con­qui­stare il Giro d’Italia. Non vi sarebbe riuscito, Bobet, per 19”: secondo, dietro a Ga­sto­ne Nencini. E il conva­lescente Barbotin, in quel suo unico Giro, sarebbe arrivato 30. Con un “30 e lode” virtuoso, da trasmettergli ormai per delega, in onore di quella amicizia pro­fonda, quel rispetto ri­badito verso il Ca­pitano e verso gli altri in assoluto, che dello sport restano valori sen­za prezzo. E senza età.
Come due fondi, ugualmente splendidi, firmati dal Direttore e da Pierrot.

Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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