Lo sport, la nostra idealità di sport, smarrisce due testimoni via così, in un tempo solo, in un week-end di fine febbraio. Tanto lontano ancora dal primo giorno di primavera. Con Candido Cannavò, il grande giornalista della Gazzetta, e Pierre Barbotin, il piccolo secondo di Louison Bobet. Va via così, si invola, lascia più soli del solito. Ma resta tanto incredibilmente profonda la vertigine nel cuore, che allo sport siamo una volta di più all’infinito grati, per la forza di evocazione che in noi - esso solo, in stagioni tanto universalmente povere di valori sentimentati ed etici - sa scolpire: così nel ricordo, come nel dolore. Diciamo pure che il metallo dell’anima, ormai tetragono, resta permeabile almeno alle sue emozioni. Ed allora, non sembri improprio, Cannavò e Barbotin sono stati due nostri straordinari compagni di strada, all’unisono. Di fantasia, e di filosofia, di vita.
Al maestro Candido, glielo abbiamo scritto una volta nell’83, quando diventò direttore della “rosea”, dobbiamo un tributo particolare, se vogliamo anomalo: ma al tempo stesso consegnare il modesto successo, o un enorme trofeo, per quel corrispondente da Catania - Candido Cannavò - che sarebbe un giorno assurto a straordinario direttore. Farci diventare, nei primi anni ’60, noi ragazzi tifosi del Napoli, che leggevamo cocciutamente la “rosea”, tifosi napoletani, sì, ma del Catania! Cosa volete, di quel Catania garibaldino, primi anni ’60, ci appassionammo perdutamente, grazie alle cronache generose di Cannavò: recitavamo Michelotti e Castellazzi, Corti e Grani, Caceffo e Szymaniak, Prenna e Calvanese, e un numero 7 sfigato di nome Battaglia, e una ala sinistra che faceva a gara con il Riva del Cagliari, quel Facchin sempre sul limite della Nazionale, e un portiere di riserva che era già Pizzul, non più Rado...
E una promessa argentina mai mantenuta, che si chiamava Desiderio... Come il destino del tram che ci portava a perdere, quelle domeniche, su un calcetto di periferia. A Napoli, tifosi del Catania... E cosa c’è in assoluto è di più gratificante, per un giornalista, maestro Candido, che il fare di sport, e di quel calcio coraggioso di Carmelo Di Bella poi, un ragazzo da lontano? Quel tuo «da Catania», prima della Tv, era un sogno di riscatto, dalla nostra finestra.
APierre Barbotin, Pierrot, il ciclista francese di tanta classe e poche vittorie, una decina, scomparso a 82 anni, dobbiamo una lezione diversa. Da illuminare, innanzitutto, dal momento che parliamo di un passato remoto e sopito, nelle sue grandi linee. Barbotin, infatti, non resta celebre per i successi, ma per i secondi posti, gli splendidi secondi posti, dietro al capitano ed amico Louison Bobet. Cominciando da quella Sanremo del ’51, in cui Bobet e Barbotin demolirono la resistenza degli italiani e dei belgi, e si disputarono il successo in un gentile testa a testa. Primo Bobet, secondo Barbotin... E proseguendo, qualche giorno più tardi, al Criterium National, quando ancora loro due soli in fuga, erano pronti a giocarsi la corsa. E Barbotin purtroppo cadde, al Bois de Boulogne, e Bobet fu costretto a vincere da solo, con il freno tirato e lo sguardo a sperare che Pierrot resistesse almeno al ritorno degli inseguitori... E primo e secondo, ancora, in quel 1951, al Campionato di Francia.
Le strade di Bobet e Barbotin si sarebbero poi divise, purtroppo, a causa di una grave malattia che avrebbe costretto il secondo, per qualche anno, a limitare l’attività agonistica. Ma nel 1957, Barbotin sarebbe tornato ancora lì, a fianco, di Louison Bobet, come un marinaio fedele di un novello Ulisse che cerca terre sconosciute, per aiutarlo a conquistare il Giro d’Italia. Non vi sarebbe riuscito, Bobet, per 19”: secondo, dietro a Gastone Nencini. E il convalescente Barbotin, in quel suo unico Giro, sarebbe arrivato 30. Con un “30 e lode” virtuoso, da trasmettergli ormai per delega, in onore di quella amicizia profonda, quel rispetto ribadito verso il Capitano e verso gli altri in assoluto, che dello sport restano valori senza prezzo. E senza età.
Come due fondi, ugualmente splendidi, firmati dal Direttore e da Pierrot.
Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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