Editoriale
Gentile Direttore,
mi rivolgo a Lei con questa lettera a titolo personale, perché La stimo come persona, ma anche come giornalista. In questi momenti di difficoltà, rimango stupito dall’atteggiamento di chi ufficialmente dichiara di amare il ciclismo, ma in realtà riesce solo a porre in risalto i difetti di questo splendido sport. A mio parere molti giornalisti hanno perso di vista l’obbiettivo della loro attività e si limitano a fare articoli standard. Troppo facile scrivere solo di doping ed inchieste giudiziarie. Si è dimenticato il gusto di scrivere di ciclismo e di ciclisti, cercando qualche aspetto positivo in un momento certamente non facile.
Come corridore mi sento impotente, sono entrato a fare parte del CPA - l’associazione internazionale dei corridori - con il sogno utopico di poter contribuire a cambiare qualcosa, non tanto per me, ma per lasciare ai giovani una situazione migliore di quella che ho trovato. Abbiamo un nuovo presidente, Vasseur, e stiamo cercando di migliorare la struttura, per dare più potere ai corridori in attività. Sarà un processo lungo e non so se ce la faremo, anche perché è chiaro, noi corridori da troppo tempo siamo trattati solo come pedine. Per questo ho deciso di scriverLe: per dare il là, per provare a muovere qualche animo, anche se ho i miei dubbi...
Entrando nello specifico, mi pongo e Le pongo una domanda: qualcuno sa spiegarmi cosa sia il passaporto biologico? Io ho cercato di capire, ho chiesto, ma ho ricevuto poche e confuse risposte. Una cosa sembra ad ogni modo certa: sarà indispensabile per poter correre. E a questo punto mi faccio e Le faccio un’altra domanda: ma è mai possibile raccogliere in soli quattro mesi abbastanza dati per poter stabilire in maniera certa e inequivocabile se un atleta è pulito o no? Se la soluzione è così semplice, perchè non è stata adottata prima? E se invece questo nuovo passaporto presenta ancora qualche lacuna, perché viene posto come elemento centrale per poter pensare e sperare di partecipare al Giro e al Tour? Non sarebbe più giusto definire esattamente cosa è il passaporto biologico, e poi lasciare stabilire ad esperti medici se quattro mesi possono bastare per raccogliere sufficienti dati biologici in modo da stabilire con assoluta certezza se un corridore è pulito o no?
Altro aspetto importante: sono scettico anche sull’operato dei cosiddetti guru, che dovrebbero supervisionare i programmi antidoping all’interno delle squadre. Altra domanda: chi controlla i controllori? Quale possibilità ha il corridore di difendersi? Se il passaporto biologico è così importante ed efficace perché porre ulteriori controlli? Se non si è convinti degli attuali metodi di controllo, perché non investire e migliorare il «passaporto biologico» invece di creare strutture parallele?
Un saluto sincero di buon anno e di buon lavoro
Dario David Cioni

Caro Dario, innanzitutto grazie per il tuo intervento. Credo che questo sia il segnale migliore che un corridore possa dare di se stesso e della sua categoria. Non tanto perché ha deciso di scrivere a tuttoBICI, ma perché ha deciso di scrivere e sottoscrivere ciò che dice: e la cosa non è di poco conto.
Ho letto il tuo disagio, ho percepito il tuo smarrimento, la tua preoccupazione assieme ad una evidente delusione. Non giriamoci tanto in giro: se siamo arrivati a questo punto la colpa non è né dei giornalisti né tantomeno dei giornali. Certo, anche la mia categoria ci ha messo del suo, ma non dobbiamo mai dimenticarci da dove siamo partiti: da un ex presidente di federazione (Uci), come Hein Verbruggen, che ha sempre ritenuto il problema doping un fatto più mediatico che sostanziale. E poi voi corridori: in questi anni avete fatto di tutto e di più. E che dire delle squadre? Prima hanno fatto buon viso a cattiva sorte, poi hanno deciso di mettere il broncio, facendo finta di cambiare (vedi T-Mobile…) e già che c’erano hanno cominciato a firmare qualsiasi cosa capitasse loro fra le mani. Codice etico? Vada per il codice etico. Atto di buone intenzioni? Ben venga anche l’atto di buone intenzioni con tanto di stipendio da versare come obolo direttamente nelle casse dell’Uci. Controlli a tappeto 24 ore su 24 con annessa reperibilità? Vada per i controlli a tappeto e già che ci siamo se ne facciano altri facoltativi, tanto male non fa. Adesso siamo al «passaporto biologico», che a naso sappiamo di cosa si tratta, ma nella sostanza nessuno ancora ci ha capito qualcosa.
Comunque sia, partiamo alla volta di una nuova stagione, con un calendario sempre più lungo e la pazienza ridotta ai minimi termini. Le corse che interessano e contano sono state messe da una parte, e le garette di seconda serie inserite in un calendario di ProTour che in pratica non esiste più ma al quale le squadre - e dico le squadre - non hanno ancora deciso di staccare definitivamente la spina. Perché si ostinano a chiedere la licenza? Qui sta il punto. Perché? Non hanno benefici, non hanno un tornaconto ma nessuno osa dire «grazie, sto fuori». Perché? Forse la lotta al doping parte proprio da qui, da questi sottili e nemmeno tanto invisibili giochi di potere. Le squadre sembrano essere costantemente in scacco e spalle al muro. Tu caro Dario, e non solo tu, ti domandi: chi controlla i controllori? E aggiungi: noi corridori come possiamo stare tranquilli? Vuoi da me una risposta franca? Non c’è ragione per stare tranquilli. Date retta a me: cominciate a preoccuparvi. E seriamente.
Pier Augusto Stagi
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