Re Alberto Bettiol, orgoglio tricolore

di Giulia De Maio

Giocondo. Alberto Bettiol in maglia tricolore è il ritratto della felicità. Brilla sotto il sole di Sesto Fiorentino, ab­bracciato alla sua gente, a due passi dalla casa di Alfre­do Martini e poco distante anche dalla sua. Bello come la Monna Lisa ma tutt’altro che enigmatico, nemmeno Leonardo Da Vinci avrebbe potuto di­segnare una domenica perfetta come quella che il 30enne di Castelfiorentino ha vissuto il 23 giugno al Campionato Italiano inserito nella rassegna To­sca­na Tricolore 2024.
«Come canta Jovanotti “È questa la vita che sognavo da bambino”. È da anni che pensavo a questa corsa, riuscire a conquistarla nella mia terra è fantastico. Non credevo di riuscire a staccarli tutti e di andare così forte, anche perché ho corso da solo contro degli squadroni. Non sono stato benissimo tutto il giorno perché avevo i battiti un po’ alti, era una settimana che non correvo, dopo la caduta al Giro di Svizzera mi ero messo le mani nei capelli. È stata veramente dura - racconta Alberto, che non aveva compagni di squadra in gara e ha fatto la differenza sull’ultima ascesa al Monte Morello -. Sono stato co­stretto a tre giorni senza bici e ho do­vuto curare un’infezione al braccio con gli antibiotici, insomma non è stato fa­cile, però avevamo un obiettivo e non potevamo mollare. Par­lo al plurale perché è un successo di squadra. Non solo della EF, che è ov­viamente il mio primo club, ma di tutte le persone che mi sono state vicine, le stesse con cui sono cresciuto. Per una settimana hanno sacrificato le loro fa­miglie, i loro impegni, il loro lavoro per dedicarsi a me. Citando di nuovo il Jova “Sono un ragazzo fortunato”. In corsa sapevo di dover rischiare, anticipando i colleghi contro cui mi sono ritrovato a giocarmi il titolo. In­dosso con onore questa maglia, farò del mio meglio per esserne degno».
Il CT Daniele Bennati, che lo aveva già designato in tempi non sospetti capitano della Squadra azzurra per i Giochi Olimpici di Parigi2024 (la prova in linea è in programma il 3 agosto, ndr), gongola dopo aver assistito dalla moto a una cavalcata di 45 km che ha infranto le ambizioni di tutti i rivali, a partire da Lorenzo Rota, secondo per la terza volta consecutiva, davanti ad un eccellente Edoardo Zambanini. Il portacolori della EF Education - EasyPost, unico italiano in attività ad avere conquistato un Monumento, non è mai stato così continuo: quattro vittorie per lui dal 13 marzo a oggi, tante quante ne aveva ottenute tra il 2014 e il 2023 pur tra lampi di classe purissima come il Giro delle Fiandre 2019 e la tappa di Stra­della al Giro d’Italia 2021.
«Il ciclismo di oggi richiede una dedizione totale, tutti i giorni, 24 ore su 24. Ti deve piacere, sempre. Ed è necessario trovare il bilanciamento con la vita extra sportiva - spiega Alberto, dopo es­sere stato stritolato dalla gioia incontenibile di familiari e amici. - Alternare i momenti in cui bisogna essere super-concentrati con altri in cui puoi esserlo meno, ma stare ugualmente sul pezzo. E apprezzare sia i momenti belli sia quelli brutti. Scindere l’atleta dall’uomo è difficile, bisogna trovare l’equilibrio e io adesso penso di esserci riuscito: i risultati sono lo specchio di questa serenità. Mia e del team, che mi dà sempre molta fiducia».
Vedere la festa che lo circonda ci riporta a quando vinse il Campionato Eu­ropeo a cronometro a Offida nel 2011, aveva 17 anni e correva tra gli juniores, ma le persone che ha a fianco oggi be­ne o male sono le stesse. Oltre a mam­ma Laura, papà Marco, il fratello minore Cosimo e gli amici storici, ci sono gli immancabili componenti della seconda famiglia della Mastro­mar­co, la squadra giovanile per la quale aveva corso an­che Vincenzo Nibali, a partire da Ga­briele Balducci e Carlo Franceschi. Non manca il preparatore Leonardo Pie­poli (in corsa sull’ammiraglia della Movistar, ndr), il massaggiatore Luca Brucini, Luca Boldrini, ma anche “Giub­ba” e Tiziano Guerri, che tra aiu­ti meccanici e borracce non gli han­no fatto mancare nulla. Senza dimenticare l’agente Giuseppe Acquadro, il biomeccanico Alessandro Mariano, e l’ultima arrivata nel club, la fidanzata Lisa, che ha ricevuto i fiori della premiazione insieme a un grazie speciale per averlo lasciato tranquillo nei giorni pre gara.
«Tutti sapevano quanto ci tenevo. No­nostante i mille problemi, ce l’ho fatta, anzi ce l’abbiamo fatta. È incredibile come quando riesco in una cosa bene, dieci vanno male. Quest’anno ho vinto la Milano-Torino, poi sono caduto ad Harelbeke. Stavo andando bene allo Svizzera e sono rifinito a terra, ma l’essere tornato a casa e, in qualche modo, all’aria di quando ero dilettante mi ha permesso di rimediare all’ennesimo in­cidente di percorso. Forse è proprio avere una squadra che non mi abbandona mai il segreto dei buoni risultati raccolti in questa stagione, oltre ad aver risolto i guai fisici (ha sofferto di colite ulcerosa cronica, ndr) che mi hanno limitato in passato» continua Alberto che ha provato forti emozioni anche in corsa.
«Quando sono partito sulla salita e a 5 km dall’arrivo mi sono reso conto di essere rimasto da solo mi è venuto da piangere pensando a Mauro Battaglini e ad Alfredo Martini. Sa­reb­be stato bello che anche loro fossero qua con me, con noi a vivere questa bellissima giornata - continua Alberto con gli occhi lucidi. - Mi manca sentire Mauro (lo storico procuratore mancato nel 2020, che sicuramente ha assistito dall’alto al suo capolavoro nella sfida tricolore, ndr). A volte, con Leo­nardo e Gabriele, ci chiediamo che cosa avrebbe detto, che cosa avrebbe fatto. Ma è come se fosse sempre con noi. Ci ha lasciato troppo presto, però sono ri­masti i suoi consigli. Sento ancora la moglie Pinuccia. Dell’indi­men­tica­bile ct conosco le fi­glie e i nipoti, è stato un toscano che ha fatto la storia e che ha lasciato il segno anche in un giovane Al­berto. Quando stavo per diplomarmi Gabriele (l’ex pro Balducci, suo ds da Under 23 e al Campionato Italiano a dirigerlo dall’ammiraglia della Work Service, che ha “ospitato” lo staff di Bettiol, ndr) mi portò a casa sua, un museo. Mi prestò un libro con dedica che mi sarebbe tornato utile per finire la tesi che stavo realizzando sulla vita di Gino Bartali. Non ebbi il tempo di ridarglielo, spero da lassù mi perdonerà per non averglielo restituito e che si sia divertito. Dei suoi discorsi ricordo in particolare una frase: “Il bello del ciclismo è che è fatto di persone umili. Prendiamo vento, freddo, pioggia, non possiamo essere esaltati o tirarcela”».
Il nuovo portabandiera del ciclismo italiano lo conferma e infatti, dopo i doverosi festeggiamenti, è tornato concentrato per onorare al meglio il prossimo impegno in calendario, quel Tour de France che scatta dal Bel Paese, per la prima volta nella storia.
«È un dono della vita poter pedalare tra le bellezze di Firenze nella corsa più importante al mondo - confida Al­berto, che ha mosso le prime pedalate a 6 anni grazie al vicino di casa nonché presidente del suo primo team Lorenzo Zanobini. - La presentazione delle squadre nel cuore del capoluogo toscano per me, unico fiorentino al via da Piazzale Michelangelo, è stata un’emozione indescrivibile. Per non parlare del passaggio da Ponte Vecchio e dagli altri luoghi simbolo della città con in­dosso la maglia verde-bianco-rossa. Mi sento molto toscano, sono legato alle tradizioni e al cibo della mia terra. So di essere un privilegiato e che un’occasione del genere non ricapiterà mai più».
Ha vissuto un debutto vincente la speciale Cannondale che l’azienda statunitense ha realizzato per lui in una versione esclusiva e personalizzata in occasione del decimo anno di collaborazione. Si chiama “Dieci su Undici” proprio perché in dieci delle sue undici stagioni nella massima categoria Bet­tiol ha pedalato in sella a biciclette Cannondale. Ed il suo obiettivo è quello di continuare a portarla alla vittoria come ha fatto con autorità al Cam­pionato Nazionale in linea.
Dopo averla sollevata come un gladiatore alla Van der Poel, ha già in mente altri tipi di festeggiamenti?
«No, ma ogni vittoria va celebrata. Alla Grande Boucle voglio vincere quella tappa che ho sfiorato due anni fa» ammette Alberto, appassionato di volo e tifosissimo della Juventus.
A differenza della Monna Lisa “Bet­tio” in tricolore non resterà relegato nel Museo del Louvre, girerà il mondo e punterà dritto a Parigi.
«Per l’Olimpiade, dove è aperta la possibilità che io disputi pure la cronometro oltre alla gara in linea, come successe in Giappone tre anni fa, mi sento pronto a ricoprire il ruolo di leader, seppur in una gara “anomala” con soli novanta corridori al via, e massimo 4 per Nazione: noi azzurri saremo soltanto in tre. La responsabilità non mi mette paura, anzi sono contento perché non ne sento il peso. Onorare la maglia azzurra è la cosa più bella che ci possa essere, farlo da Campione d’Italia è un dovere-piacere ulteriore. Ci vediamo in Francia, ma prima c’è ancora tanto da fare...».
Nemmeno nel sogno più bello poteva immaginare un inizio estate così colorato, ma a volte la realtà supera le aspettative. È così che nascono le ope­re d’arte.

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