Geraint Thomas. un campionem, un signore

di Francesca Monzone

In tutte le gare c’è sempre un vincitore e un vinto, ma nel Gi­ro d’Italia che si è appena concluso, ogni risultato va preso con la do­vuta calma e riflessione. Ci sono i numeri che inseriti in uno spazio temporale e tradotti in ore e minuti ci dicono che Primoz Roglic è stato il più veloce e poi ci sono gli sguardi, le parole giuste e concrete e le azioni, di chi come Geraint Thomas si è dovuto accontentare di un secondo posto, ma ha conquistato il primo premio per classe e signorilità.
Geraint Thomas, 37 anni compiuti du­rante la corsa rosa, in occasione della diciottesima tappa con arrivo in Val di Zoldo: tanti i pensieri che hanno affollato la mente del gallese in questo viaggio italiano, così come le riflessioni in parte legate al passare degli anni e a quegli obiettivi che è ancora possibile raggiungere.
«Se a marzo qualcuno mi avesse detto che a fine maggio sarei salito sul podio finale del Giro, mi sarei fatto una bella risata».
Mister G, come spesso viene chiamato il gallese, è il corridore che mantiene la barra a dritta e che segue sempre uno schema preciso, dettato dalla sua regolarità.
Lui è un corridore importante che, ol­tre ad aver conquistato un Tour de France nel 2018, con la maglia della nazionale ha conquistato due ori olimpici nell’inseguimento a squadre nel 2008 e nel 2012. Nella sua carriera,  ha preso parte a 18 grandi giri e nella Grande Boucle, oltre ad una vittoria, ha ottenuto un secondo posto nel 2019 e il terzo posto lo scorso anno.
In Italia Thomas era arrivato per far be­ne, ma di certo non immaginava che avrebbe combattuto per la vittoria, ri­schiando perfino di diventare il vincitore più anziano nella storia della corsa.
Ha gestito ogni giornata con attenzione, senza mai essere sopra le righe e con la consapevolezza delle proprie possibilità che è andata aumentando giorno dopo giorno.
Thomas in questo Giro ha vestito la maglia rosa due volte, ma senza riuscire a portarla a Roma per la tappa finale, dove a trionfare è stato Primoz Roglic.
Al comando della classifica generale il britannico è arrivato nella notte tra la cronometro di Cesena e il giorno di ri­poso, ovvero quando Remco Evene­poel, leader fino a quel momento, gli ha com­unicato l’abbandono perché positivo al Covid.
Al termine della cronometro del 14 maggio a Cesena, il gallese era secondo nella classifica dei big con un ritardo di 45” dal belga e in un attimo si è ritrovato al comando vestendo la maglia ro­sa al via della sedicesima tappa il 16 maggio. Nel giorno di riposo Thomas era stato chiaro, avrebbe onorato fino alla fine quella maglia così preziosa, nella speranza di poterla portare fino alla Capitale.
Ma le cose non sono andate così e la determinazione e la tenacia del gallese non sono bastate a portare a termine la sua impresa.
La maglia Thomas l’ha ceduta una pri­ma volta nella quattordicesima tappa, consegnandola al francese Bruno Ar­mirail che, pur buon cronometrista, non avrebbe mai pensato di diventare il leader della classifica generale di un grande giro. Il britannico però aveva calcolato tutto e quella era solo una cessione momentanea, perché sul Mon­te Bondone, alla partenza dell’ultima settimana, è tornato a vestirsi di rosa con un vantaggio di 29” su Roglic.
Il giorno prima la carovana riposava e Mark Cavendish aveva annunciato il suo ritiro a fine stagione, una notizia questa che aveva colpito molto Tho­mas perché con Cav ha corso per anni ed è legato a lui da una bella amicizia.
«E’ strano per me sapere che Mark si ritirerà, perché vuol dire che presto do­vrò farlo anche io. Pensi che continuerai sempre a correre con la tua bici, ma poi ti accorgi che non sarà così».
Thomas torna in rosa in Trentino e vuo­le rimanerci fino a Roma, ma il de­stino per lui ha in serbo altro e nella cronoscalata sul Lussari la storia cambia direzione: Roglic vince la tappa e si prende la maglia rosa.
 «Devo solo concentrarmi su me stesso e fare quella salita il più velocemente possibile e spero che questo sia sufficiente a vincere il Giro - aveva detto il gallese la mattina, dopo aver visionato il percorso -. Non posso dire che non vedo l’ora, dico che sarà bello per chi la corsa la guarderà e terribile per noi che dovremo disputarla».
Dopo tre settimane di gara e 3.356,8 km di corsa e di battaglia con Roglic e Almeida, solo una barriera di 14 secondi ha separato Geraint Thomas dalla vittoria del Giro d’Italia. Una barriera eretta da Primoz Roglic che, nonostante un problema meccanico, è riuscito a staccare il britannico di 40” secondi a Monte Lussari, vantaggio più che sufficiente per vincere il Giro.
«Ci sono arrivato così vicino... È così frustrante, ma non ho nulla da rimproverarmi: ho faticato negli ultimi 3 o 4 chilometri, ma se avessi affrontato la salita in modo diverso, se avessi cominciato lentamente e finito più forte, avrei comunque impiegato lo stesso tempo, anche se forse l’effetto sarebbe stato diverso».
Thomas è un campione che sa ac­cettare la sconfitta, con la con­sapevolezza che Ro­glic è stato semplicemente il più forte e che la vittoria dello sloveno è stata meritata. Ma le ombre e i fantasmi non svaniscono in una notte sola: quando stai per ab­bracciare la vittoria, la sconfitta lascia sempre un sapore amaro. Thomas e Roglic sono amici, vivono entrambi a Mon­tecar­lo dove si frequentano con le famiglie. Tra loro c’è rispetto e la sconfitta di uno per nessun motivo andrà a rovinare la vittoria dell’altro.
A Roma il britannico è arrivato con il sorriso e quando gli è stato chiesto se avrebbe partecipato al Tour de France per dimenticare la sconfitta italiana, ridendo ha detto che... il suo programma era ubriacarsi per i prossimi due mesi. Niente Tour ma forse una Vuelta nella quale il gallese po­trebbe cercare il riscatto.
Nella città Eterna il ca­pitano del­la Ineos Grenadiers ha voluto ancora una volta dimostrare la sua amicizia e il rispetto per un altro corridore: Mark Cavendish, il ra­gazzo dell’Isola di Man, alla ricerca delle sue ultime vittorie prima di salutare il mondo delle corse. Thomas lo sapeva e ha vo­luto aiutarlo, lui e Can­non­ball si co­noscono bene e nel 2012 hanno corso insieme nel Team Sky. Co­sì Tho­mas sa cosa deve fare, un gesto di fratellanza, di riconoscenza e gratitudine nei confronti di un grande campione, che con lui ha vestito anche la maglia della na­zionale. Il gallese ha un’intuizione, si accorge che la Astana di Cavendish è un po’ fiacca e che non potrà portare il veloci­sta  verso la vittoria. Non ci pen­sa due volte e si mette in testa a pilotare la volata per il suo amico, come se quello fosse il modo migliore per ringraziarlo degli anni trascorsi insieme. A due chilometri dal traguardo Gerant ha guardato Cavendish, che era a ruota di Sanchez, i due si sono detti qualcosa e il gallese ha iniziato a tirare fino al momento in cui l’amico si è lanciato verso la vittoria. L’abbraccio tra i due sui Fori Im­periali resterà uno dei simboli di questo Giro d’Italia.
Dopo il suo secondo posto alla corsa rosa, il britannico non ha rimpianti e non pensa di aver commesso errori, convinto che le cose dovevano andare in questo modo.
«Il dolore c’è ancora ma è normale. Adesso devo guardare al futuro e vo­glio concentrarmi sulle gare con la nazionale. C’è la Vuelta, che ho corso una sola volta e non è stata una bella esperienza. Forse dovrei tornare per cancellare quel ricordo negativo, ma prima voglio pensare a me stesso».

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