Scripta manent

Quel Gaignard ritrovato

di Gian Paolo Porreca

A l Natale ci crediamo a stento, l’animo fanciullo non può germogliare se non per rari miracoli ad una certa età, ma nelle strenne di dicembre ci spereremo - come tutti, in silenzio - sempre.
E la strenna di dicembre, egoisticamente, non può essere per quelli come noi mica un IPhone o un pa­letot algidi, ma di principio un dono che ti restituisca una immagine che credevi mai più rintracciabile, nei giorni e nei modi a venire, un batticuore superstite ai giorni.

E così ti arriva un libro che non ti aspet­ti, «Io e la bi­cicletta nel cuore», di Vittorio De Martino, già bravo ciclista dilettante negli ultimi anni ’50, di Montoro Inferiore, un paese fra l’Irpinia e il Sa­lernitano, la maglia “Ba­ratta”, una intensa e brillante carriera nel Centro Sud sul bordo non varcato del professionismo, pri­ma delle Olimpiadi di Ro­ma.
Ti arriva, brevi manu, e ne sfogli le pagine, sfrecciano gli incontri con Bartali e Coppi, i nomi di Rimedio e Proietti, gli sprint di Damiano e i finali di Ac­concia, la Coppa Caivano
e la Coppa Milano....

Ti sfogli i ritagli di giornali quo­ti­dia­ni, ma quanto si correva al Sud, prima del 1960, e quante colonne e quante squadre, Mon­toro Internaples Lepori, e il Velodromo dell’Are­nac­cia, per addestrare al­la pi­sta i meritevoli.
Ti sfogli le foto in bianco e nero, Vittorio De Mar­ti­no, un signore gentile, animo di artista, ti regala un sorriso precisando co­me il suo Vangelo fosse «Prendi la bicicletta e vai...» di Giuseppe Ambrosini...

Epoi, incredibile, il tuo sguardo si posa su una foto che non avresti mai pensato di po­ter vedere ferma, se non nell’ombra liquida della memoria. Una immagine di gruppo del Gran Pre­mio tipo Pista, a via Ca­racciolo, Napoli, il 1° maggio 1959.
E lì c’era, non ci avresti mai sperato più, mai ar­ren­dersi allora nella vi­ta, fra Maspes e Rousseau, Gaiardoni e Gasparella, lì c’era presente il primo mito della tua infanzia vissuta fra le figurine dei ci­clisti a cui affidare segreti e sentimenti, certi che al­meno loro non li avrebbero traditi, come la compagna del primo banco. Spuntare lì, è il primo da sinistra, voi non lo vedete, io sì, Roger Gaignard, quel biondo velocista francese eclettico e disincantato, maglia Geminia­ni, che veniva dal circo e al circo dopo il ciclismo sa­rebbe tornato, come acrobata e virtuosista.

Gaignard, classe 1933, bronzo nel Mondiale dilettanti ’54 e in quello professionisti del ’57. Gaignard, sei volte pure campione della velocità in Francia.
Ma quel che più conta, era lì il Roger Gaignard che mi catturava lo sguardo, io con la piccola mano in quella grande di mio padre, alla Rotonda Diaz della mia città, quel Primo Maggio del 1959, facendo le piroette sulla bici senza freni, da pistard. E sembrava dedicarle a me, che lo ammiravo sospeso.

Io e la bicicletta nel cuore, quel Gaignard che mi sorride, come tanti decenni fa, dalla pagina di un libro inatteso.
Io e «Prendi la bicicletta e vai...», e quella speranza di vita viva che gelosamente  porti ancora serrata in te.
Io e quel cuore sempre in pista, fosse pure ormai solo sulla zeriba.

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