
di Carlo Malvestio
In un calendario internazionale sovraccarico come quello odierno, una gara a tappe che sta cercando di lanciarsi non trova certamente vita facile. Lo sa bene la Adriatica Ionica Race e lo sa bene Moreno Argentin, che a inizio giugno ha mandato in archivio la quarta edizione della corsa da lui creata nel 2018. Un appuntamento che, suo malgrado, è costretto a fare a spallate con le tante concomitanze di corse che si svolgono a giugno, compresse tra Giro d’Italia e Tour de France. L’ex campione del mondo, in ogni caso, sta andando dritto per la sua strada, cercando di tener fede al progetto originale, ovvero quello di creare una gara che toccasse sia il Mar Adriatico che il Mar Ionio. Sullo Ionio ancora non ci è arrivato, ma si sta avvicinando, visto che quest’anno, oltre alle confermate Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Emilia-Romagna, sono arrivate anche le Marche in grande stile, con due arrivi di fascino come quelli di Sirolo e Ascoli Piceno, nelle ultime due tappe. Dopo le difficoltà dovute al covid, con l’accorciamento dell’edizione 2021 a sole tre tappe, nel 2022 si è riproposta con la formula originale di cinque frazioni, sintomo che la corsa ha ripreso a pieno la sua marcia.
Moreno, l’Adriatica Ionica Race ha fatto un passo in avanti?
«Direi che stiamo crescendo, sì. L’organizzazione messa in campo lo dimostra, stiamo cercando di non lasciare nulla al caso. Allestire una gara è abbastanza facile se si specula su alcuni aspetti, ma noi non abbiamo voluto farlo. Una grande attenzione l’abbiamo rivolta all’assistenza sanitaria, con tre ambulanze al seguito e il personale medico-rianimatore. Abbiamo poi aggiunto un elicottero per le riprese televisive, per poter dare ai territori che ci hanno ospitato la migliore vetrina scenografica possibile. Poi, sia chiaro, non siamo geni e non siamo perfetti, ma non ci risparmiamo: chi fa può sbagliare, chi non fa non sbaglia. Nel complesso, però, sono soddisfatto di come abbiamo tirato su questa edizione».
È mancato forse qualche grande nome del ciclismo mondiale al via?
«Sì, è l’unica pecca. Ma qui la colpa è dell’UCI che ci ha appioppato date non idonee, ma siamo stati costretti ad accettare altrimenti sarebbe saltata la corsa. Da questo punto di vista dovremo sicuramente provare ad inventarci qualcosa, perché così non ci può andare bene».
Proverete a spingere per un cambio di data?
«Noi la nostra posizione l’avevamo trovata: prima del Campionato Italiano. Poi però ci siamo visti sopravanzare da corse che prima erano a gennaio, poi a settembre e ora a giugno. È tutta una questione politica, di meritocratico non c’è assolutamente nulla. Alla fine, ci rimettiamo noi, perché il palcoscenico allestito, a mio parere, era di grande livello».
Lo spettacolo, però, alla fine non è mancato…
«Assolutamente, è uscita una bella corsa, con tappe mai scontate. E poi sono emersi alcuni giovani molto interessanti. Abbiamo visto un altro passo in avanti del ciclismo africano, con la vittoria di Tesfatsion sul Monte Grappa, ma anche il successo in classifica generale di Zana è significativo. Speriamo che questa vittoria possa dargli maggiore convinzione dei suoi mezzi per dimostrare tutto il suo talento. Insomma, l’etichetta di corsa che lancia i giovani ce la teniamo strettissima».
Vi dispiace non aver ottenuto la diretta televisiva?
«In realtà non avevamo la pretesa di andare in diretta televisiva. È l'ultimo anno del contratto di cessione dei diritti televisivi, è una triangolazione fatta con la Lega Ciclismo e PMG Sport coi quali bisogna confrontarsi. Per l’obiettivo che abbiamo noi, però, non ritengo il Live essenziale. Certo, è un aspetto che agli occhi dell’UCI ti qualifica e ti rende più prestigioso, ma il mio primo obiettivo è promuovere i territori che attraversiamo e far sì che loro ci guadagnino. Ritengo che fare una differita di 70 minuti negli orari adeguati sia meglio che fare una diretta alle 15 o alle 16 quando pochi sono davanti alla TV. E poi ora c’è tutto un mondo digitale che ti dà tante altre opportunità. Abbiamo investito sui social network, sulle dirette streaming che abbiamo sperimentato nelle ultime due tappe marchigiane grazie al service di Rodella; il futuro è questo, sicuramente più che il tubo catodico della televisione. Poi se in futuro ci verrà offerta la possibilità di trasmetterla in diretta ovviamente faremo le nostre valutazioni».
L’arrivo sulla terrazza adriatica di Sirolo è stato apprezzato da tutti.
«Il nostro lavoro è proprio quello, capire come sfruttare al massimo il territorio. A questo proposito è fondamentale la sinergia che si ha con le Regioni, come in questo caso le Marche che ci hanno indicato la splendida possibilità di arrivare in piazza a Sirolo. Volevano promuovere la Riviera del Conero e noi l’abbiamo fatto. Ma la stessa cosa hanno fatto le amministrazioni emiliane per Brisighella e quelle venete per il Monte Grappa. Con queste persone è un piacere lavorare, poi invece c’è qualche amministrazione che pensa solo alle proprie tasche, e allora da quelle è meglio rimanere lontani».
C’è la voglia di coinvolgere altri territori?
«Non nascondo la voglia e la necessità di arrivare sul Mar Ionio, visto che ci siamo chiamati Adriatica Ionica Race proprio per questo. Il prossimo anno ci piacerebbe provare ad aggiungere una o due Regioni, arrivando magari sullo Ionio dalla Puglia. Mandata in archivio questa edizione cominceremo a lavorarci: abbiamo tanto da fare per far crescere ulteriormente il nostro progetto e intendiamo muoverci su tutti i fronti».