Editoriale
C’è un filo rosa che unisce tuttoBICI al Giro d’Italia. Il primo numero esattamente dieci anni fa: maggio 1995, eravamo ieri come oggi immersi nella magia della corsa più amata d’Italia. In copertina tre uomini: Eugenio Berzin, Tony Rominger e Marco Pantani. Una sfida a tre. Dieci anni dopo ci troviamo con tre uomini in più (Cunego, Basso e Simoni a lottare per una nuova maglia rosa) e un Pantani in meno.
Sono passati dieci anni da quella foto di copertina, un fotomontaggio. Rominger al posto di Armand De Las Cuevas: il francese, chi più l’ha visto?
Centosessanta pagine di rivista, carta riciclata opaca (il patinato sarà introdotto solo nel maggio ’96, un anno dopo), articolo d’apertura dedicato al Pirata, l’uomo nuovo del ciclismo italiano esploso al Giro ’94, che confida a Dario Ceccarelli di temere solo Claudio Chiappucci, suo compagno di squadra e per l’occasione dice: «Il problema Chiappucci esiste, inutile negarlo...». Oggi potrebbero pronunciare le stesse parole Gilberto Simoni o Damiano Cunego, per il secondo anno consecutivo compagni di squadra, loro malgrado.
In quel primo numero tantissime firme. Manca solo Angelo Costa, che entra in scuderia dal numero due, e diventerà davvero un punto fermo per tuttoBICI, un compagno di viaggio generoso e infaticabile, fedele e affidabile al quale dobbiamo solo un grandissimo ringraziamento. Così come Cristiano Gatti, che non ha saltato un solo numero e dal giugno ’95 trova la sua definitiva collocazione laggiù, in fondo a sinistra, ultima pagina di tuttoBICI che da sempre viene letta per prima. Anche a Cristiano non possiamo noi tutti che dire grazie, per i contributi e il contributo che ci ha fornito, per le lagne che spesso gli ho propinato e che gli assicuro continuerò a propinargli in futuro.
In quel numero «uno» ci sono anche gli interventi di Gino Sala, che solo in quell’occasione condivide i suoi «Appunti di viaggio» con Rino Negri. Il dottor Giovanni Tredici è invece già al suo posto con la rubrica medica «Dica 33» e poi c’è Gianfranco Josti, Marco Evangelisti, Nino Minoliti, Sergio Meda, Adriano Torre, Claudio Minoliti e Luca Gialanella che ha il compito di curare «Il pianeta dei giovani»; per questo ospitiamo solo quell’anno l’Oscar de La Gazzetta dello Sport riservato al mondo dei dilettanti, prima di varare i nostri Oscar. C’è anche Luciano Bandera, ricordate? Un signore, un autentico signore che ha collaborato per anni con la rosea e ci ha lasciato invece troppo presto.
Fin dal primo numero c’è anche Gian Paolo Ormezzano, con i suoi «Rapporti e Relazioni» e il suo talento indiscutibile. Walter Rossignoli al quale è affidata la parte tecnica e poi Ildo Serantoni e il nostro Danilo Viganò, che in questi anni è diventato punto di riferimento statistico del ciclismo tutto, tanto da raccogliere l’eredità di un amico di tuttoBICI, Lamberto Righi, che ha lasciato quest’anno a Davide Cassani il suo Almanacco. E che dire dei fotografi? Di Roberto Bettini, Pier Maulini e Silvano Rodella, ai quali sono stati affidati i settori dei professionisti e dei dilettanti. Silvano Rodella, poi, occupa un posto tutto particolare nell’organigramma della nostra rivista. Diciamo pure nel nostro cuore.
I Rodella sono qualcosa di molto più forte e importante per tutti noi. Quanta passione, quanta forza, quanto orgoglio di far parte della nostra squadra. Un coinvolgimento assoluto e totale, che ha visto in prima linea anche Silvana, la moglie, e poi i loro due ragazzi, Paolo e Fabio, che assieme a noi sono cresciuti e oggi sono uomini e fanno parte della nostra famiglia, o siamo noi a far parte della loro? Mah...
Quanti avvenimenti in questi dieci anni. Tanti, tantissimi, inebrianti e dolorosi. Come quel luglio ’95, quando ci trovammo a piangere la prematura morte di Fabio Casartelli, che al chilometro 34 di una tappa pirenaica appena iniziata, lungo la discesa del Portet d’Aspet cade e picchia il capo. Quest’anno, tra due mesi ricorre il decennale.
E sempre quell’anno raccontiamo la vittoria di Rominger al Giro, il quinto successo consecutivo di Miguel Indurain al Tour, il secondo titolo tricolore di Gianni Bugno, e poi l’iride di Olano, che fa male a Marco Pantani, magnifico terzo alle spalle di Indurain, prima di farsi male - molto male - lungo la discesa di Pino Torinese. E come dimenticare l’ultima copertina di quel dicembre 1995, dedicata proprio a lui, a Marco, che si traveste per noi da Babbo Natale?
E poi tanti numeri ancora, tanti mesi, tanti fatti. La malattia di Lance Armstrong, il suo ritorno e la sua esplosione.
E ancora la convalescenza di Marco, il lento recupero fino all’urlo all’Alpe d’Huez, l’accoppiata Giro e Tour, prima di quel maledetto 5 giugno ’99. Quanti ricordi, quanti fotogrammi di ciclismo e di vita che si mescolano assieme. Michele Bartoli che vince stravince e poi si rompe e nulla sarà più come prima, anche se come prima qualcosa di pesante torna a vincere. E poi la lenta ma inesorabile crescita di Paolo Bettini, che da brutto anatroccolo si trasforma in cigno bianco a tinte olimpiche. Le volate e i record di Mario Cipollini, il più grande di tutti, e poi la lenta ma travolgente crescita di Alessandro Petacchi, che si trasforma in Ale Jet. E poi Ivan Basso, Damiano Cunego e la storia di oggi che è poi anche quella di domani...
Quanti articoli, quante immagini che oggi sono lì riposte in un cassetto e ci è difficile trovare una priorità logica perché tutto oggi assume un valore diverso. Anche le cose più banali hanno un significato profondo: perché fanno parte della nostra storia. Una storia nata in quel maggio del ’95 quasi per caso. Una telefonata di Gianfranco Josti che fa il mio nome ad un piccolo editore che vuole varare un nuovo mensile, e con il quale rimango e rimaniamo fino al dicembre ’96, prima di fare le valigie e andarcene in blocco: con la rivista, s’intende. Nasce la «Prima Pagina Edizioni». Nasce grazie a Maria Beatrice Ajraghi, che per tutti è e resta Bibi, che ha creduto ciecamente in quello in cui credevo, appoggiandomi, incoraggiandomi come meglio non avrebbe potuto fare. Come del resto Paolo Broggi, compagno di viaggio schivo e a volte enigmatico, ma che mi affianca, supporta e probabilmente mi sopporta da quindici anni. Prima insieme a La Notte e poi qui sulle colonne di tuttoBICI. E poi Angelo Galiotto, il nostro «art director» che ci ha accompagnato per un po’ prima di lasciare il testimone ad Emanuela La Torre, la nostra Emy, che dal febbraio 2000 “griffa” il nostro giornale. E come non parlare di Alessandro Pennati, agente diligente, come Mauro Fumagalli, entrambi malati di ciclismo e di bicicletta. E poi chissà quante altre persone sto dimenticando, mannaggia. E sì, un grazie va anche a Emanuele Santagostino e a Battista Vitali, due perni di questa squadra snella ma efficace. Ma nei titoli di testa, perché per quelli di coda spero che ci sia ancora un po’ di tempo, non posso dimenticare i tanti sponsor, le tante aziende che in questi anni ci hanno permesso di crescere e migliorarci. Un grazie sincero va anche a loro.
Oggi sembra tutto maledettamente lontano, ma anche magicamente successo ieri. Ci si accorge che il tempo è trascorso dall’ovatta che avvolge i ricordi e attutisce i clamori dei momenti più difficili. Fatichi a ricordare i momenti più duri e prevalgono solo quelli più felici. Scherzi della memoria.
Ma adesso basta guardarci alle spalle, c’è un numero e un altro ancora e un altro ancora da fare, e tante tantissime altre storie da raccontare. Un grazie mi preme inviarlo anche ai tanti corridori incontrati sulle strade e quelli che in questi anni ci hanno fatto entrare nelle loro case, nel loro privato, nei loro cuori. Sono tanti, quanti i nostri grazie. Grazie anche a Sergio Neri, direttore di Bicisport, con il quale in questi dieci anni ci siamo raffrontati e confrontati credo con grande lealtà e rispetto. E d’altra parte non poteva che essere così.
A unirci c’è il grande amore per questo sport, fatto di storie, uomini ed emozioni. E se il ciclismo è davvero un romanzo che si scrive a più mani, giorno dopo giorno, noi pensiamo di aver contribuito in questi dieci anni a scrivere qualcosa d’importante. Continueremo a farlo. Come sempre: con rigore, passione e quel pizzico di irriverenza che da sempre ci contraddistingue.
Pier Augusto Stagi
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