No, in pieno Tour 2002, non abbiamo alcuna voglia di parlare di un ciclismo che consideriamo passato. Ci perdonino i lettori, nostri giudici e padroni, come realmente crediamo, se non dibattiamo di Igor Gonzales de Galdeano e del suo tasso stratosferico di salbutamolo, un farmaco ad azione broncodilatatrice - antiasmatico - se assunto alle dosi canoniche, che diventa però soltanto o specialmente una sostanza anabolizzante, se preso alle dosi ciclopiche che spiegherebbero la positività fuori scala, oltre i 1.000 nanogrammi/ml rilevata nell’atleta della Once... E del dissidio sorto in merito fra UCI e AMA - AMA o non ama, Verbruggen, ci verrebbe da celiare... -, fra posizioni antitetiche di ultralegittimità e di intransigenza, ormai in rotta di divergenza, se non di franca collisione.
Un dissidio, per inciso, che fa il paio con l’ostracismo che la FIFA e la FIT, due altre superpotenti federazioni internazionali, hanno già palesato nei riguardi dell’Agenzia Mondiale Antidoping, con il loro rifiutarne senza complimenti la sovrintendenza olimpica ai controlli antidoping nelle proprie manifestazioni internazionali. Non metterete l’ago negli affri nostri, chiaro? Ed è evidente che il mondo dello sport vada in fondo dove va il mondo, alla rappresentazione di uno spettacolo circense, sempre più a stadi vuoti ed a studi televisivi pieni, in un incontro fittizio tra Show e Business, arbitrato dallo Sponsor. Tant’è, non annoiamo neanche la memoria e la buona fede nostra e vostra, creandovi allarmi a salve per le sorti di Cipollini e Pantani. Li ritroveremo intatti da qualche parte, i campioni, con una nostalgia che non auguriamo loro pari alla nostra...
No, in pieno Tour 2002 non vogliamo parlare di quel ciclismo e di uno sport che consideriamo remoto.
Vogliamo invece parlarvi di una gioia che nasce, di uno spettacolo giovanile che ci ha riempito gli occhi e ci ha suggerito una forma acerba di speranza, se non proprio di fantasia. Vi parliamo, abbiamo coraggio, e ne avremo ancora di più, di ciclismo su pista. E del velodromo appena inaugurato di Marcianise, in provincia di Caserta, e dei campionati italiani giovanili che si sono svolti dal 25 al 28 luglio su quella ellisse, 285 metri di sviluppo, omologa della pista olimpica di Monaco.
Non c’è sciovinismo in noi, non ci appartiene per cultura lo spirito del municipio, ma che spettacolo, credeteci, quel velodromo «Vincenzo Capone» lindo, quella corona discreta di pioppi a renderne aureola, come un’oasi di serenità inattesa, in un contesto ambientale tra l’altro così arrembante e fragorosa, così greve di sfrenata edilizia.
Che spettacolo, amici, riportare gli occhi su una pista e vederla animata non da figure retoriche e spente del passato agonistico, ma da una moltitudine di ragazzini provenienti da tutta Italia! Che bello, Puglia e Lombardia, Campania e Veneto, Piemonte e Basilicata, il vento dei dialetti ed un caleidoscopio di visi puliti, di entusiasmi cordiali, di bici sui rulli e di bici sulle pareti...
Il binomio ciclismo giovanile e scolastico-pista, caro a Giancarlo Ceruti, ci appare personalmente come un miracolo edificante e laborioso, proprio di uno sport che vuole e sa ricominciare. Ed è ancor più indicativo che sia il precario Sud, per anima ed iniziativa di Raffaele Reccia, vicepresidente federale vicario, ad esserne perno, con gli impianti attivi di Noto e Palermo, di Barletta, di Oppido Lucano ed oggi di Marcianise.
In pieno Tour, sazi dello stesso Armstrong, non abbiamo voglia né di Simoni, né di Garzelli, delle caramelle delle zie e degli Archimede Pitagorico di parte. Abbiamo invece desiderio e necessità di questi ragazzini avviati alla pista, uomini e donne, Esordienti ed Allievi, dei loro allenatori, dei loro genitori, nei quali non abbiamo intuito veleni ed intrugli.
Quella pista italiana che rinasce in Germania con Antonella Bellutti ed i suoi titoli europei Juniores e Under 23, tutti di belle ragazze, trova nei più giovani ancora un’altra linfa vitale.
I l pianto di Marianna Botta, il nome di una sconfitta locale da tenere a simbolo di dolcezza, stretta al coach Angelo Damiano, ci sembra un pio lavacro per una disciplina in fondo semplicissima, due ruote e due pedali, senza freni. Semplicissima, eppure la più nobile di tutte. A fronte di tanta cattiva prosa di strada, il ciclismo su pista di fine luglio, salutato dalla luna piena, sapeva così di una poesia incredibilmente ritrovata, come quell’ultima lettera di Leopardi. Guai, per noi tutti, a riperderla.
Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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