ECCESSO DI RICORDO
di Gian Paolo Ormezzano
Il 15 settembre ho telefonato a Marina Coppi in Bellocchio (io a Torino, lei a Castellania) per scusarmi di non poter essere con lei nella ricorrenza dei cento anni dalla nascita di suo papà. Marina tenera e sorridente è per me una gran bella amicizia propiziatami da chi me la presentò, Ruggero Radice, il giornalista celebre anche come Raro negli anni ruggenti del ciclismo, fra l’altro buon amico di mio papà. Accadde quando celebrammo a Torino i novant’anni del decano di noi scriventi, appunto presente Marina, con la partecipazione straordinaria per noi, normale e doverosamente affettuosa per lui, di Mike Bongiorno, che nei suoi anni torinesi aveva fatto il galoppino, anche e soprattutto di Radice, a Tuttosport e a La Stampa.
Il pubblico ufficiale però di questa amicizia, quello che ne ha certificato la validità, si chiama Angelo Marello ed è molto semplicemente il ciclofilo e il tifoso del Toro più amato e stimato in città e non solo (lui è di Santo Stefano Belbo, provincia di Cuneo, il paese di Cesare Pavese). Con Nino Defilippis suo quasi fratello ha inventato e alzato il il monumento a Coppi davanti al Motovelodromo torinese. La sua carrozzeria è un cenacolo permanente di sportivi, lui ha ricordi preziosi e amicizia calda e grappe vecchie e agnolotti freschi per tutti.
Ogni anno il 4 di maggio porta a Superga tanta gente, comprese le sempre trepide nipoti (figlie di un fratello) di Valentino Mazzola. Non riesco a immaginarmi il momento in cui Marina gli ha detto di essere juventina lei figlia di Fausto granata, di essere astemia lei madre di Francesco che proprio a Castellania produce grandi vini intitolati alle vigne di mamma, di essere nata a Genova lei dedita al culto di usi&costumi del vecchio Piemonte contadino.
I settanta anni da Superga e i cento dalla nascita di Fausto sono stati celebratissimi in tutta Italia. In prima persona li ho emotivamente patiti dentro, bi-orfano in uno strano modo (sentimenti sempre accesi e giornalismo severamente algido per rievocare al meglio i fatti), e li ho anche vissuti e sofferti nel fisico: a 84 anni muoversi stanca, e però è impossibile non andare qua e là a ricordare e a portare testimonianze personali valide - penso, spero - per la qualità del ricordo.
Ritengo che nell’insieme le celebrazioni siano state cariche il giusto di commozione, senza retorica peraltro teoricamente facile, e soprattutto ricche il giusto e vive di vis storica. Nelle scuole non si insegna storia dello sport, quando invece sarebbe cosa buona e bella e giusta illustrare il rapporto fra la vicenda totale del paese e le influenze e i riflessi delle vicende sportive sui suoi abitanti. Ci sono tanti e troppi giovani purtroppo in diritto (insomma) anagrafico di non sapere nulla di Coppi e di Superga. E Gino Bartali non c’è più a ringhiare memorie, e Giampiero Boniperti novantaduenne declina, e insomma ci sono sempre meno testimoni celebri. E ogni giorno e ogni ora irrompono fatti e fattacci nuovi, con il vettore di una straordinaria neotecnologia. E il mondo si scalda proprio per la temperatura climatica in aumento e gli incendi apocalittici, casomai per lampi di imprese sportive agganciate subito al flusso di denaro che generano, non per la memoria delle gesta anche poetiche, e storicamente importanti, di un (anche) muscolare, di una squadra di (anche) muscolari.
Così questo 2019 per lo sport farcito di memorie sacre e dolenti rischia di finire lasciando sulla sua strada tanti vecchi che chiedono la carità di poco di attenzione, mentre intorno si agitano a passo di carica tanti giovani vogliosi di acchiappare continue offerte di cosiddetto progresso, di schiacciarsi addosso a nuove tecnologie, e nuovi tipi di comunicazione, e nuovi remuneratissimi modi di celebrità.
Devo dire che personalmente mi sento stanco per eccesso di ricordo, e temo che altri si sentano stanchi di tipacci vogliosi come me di scaricare questo ricordo addosso a loro. L’altro giorno a Marina ho chiesto soltanto scusa, avrei dovuto anche chiederlo a Faustino. Ci sarebbe da parlare e tanto di questa faccenda, di cosa vuol dire ricorrenza: se - alla lettera - si corre di nuovo o se soltanto si fanno due salti su un posto che fu profondamente nostro ma che il mondo nuovo, che guarda avanti, non considera più.