Valverfe, il nuovo re del mondo

di Pier Augusto Stagi

È come se si fosse fatto dare il Tfr, anche se Alejandro Val­verde non ha nessuna intenzione di andare in pensione: anzi, adesso che ha finalmente quella agognatissima ma­glia iridata sulle spalle, col cavolo che si ferma. Altro che chiudere la carriera da numero 1. Ora che numero uno lo è per davvero, e a certificarlo c’è anche la maglia con i colori dell’arcobaleno, il murciano non vede l’ora di godere per un anno intero in giro per il mondo con la sua maglia con i colori dell’iride.
«Ho davvero toccato il cielo con un dito - ha detto l’inossidabile campione spagnolo dopo il successo di Innsbruck -. Questa è senza dubbio la vittoria più emozionante. E pensare che quando sabato mattina ho incontrato Cipollini, Bettini, Fondriest e Museeuw in allenamento, tutti campioni del mondo, l’ho preso come un se­gno del destino».
Ha chiuso il cerchio Alejandro. L’ha chiuso con una maglia che segna la carriera di ogni corridore, per lui è davvero il riconoscimento alla carriera, e ha ragione il Ct Davide Cassani quando dice «Non è sorprendente il fatto che Alejandro abbia vinto il mondiale a 38 anni, ma che sia riuscito a vincerlo solo adesso».
Ha ragione anche Peter Sagan, il tre volte campione del mondo che è capace sempre di sorprendere anche quando ormai è fuori dai giochi. Lo slovacco, uscito dai giochi molto prima di quanto fosse lecito attendersi, si ripresenta a fine corsa con un bellissimo fuori programma. Con quel suo salire sul palco per congratularsi con il collega e mettergli al collo la medaglia d’oro. «Era il mio grande favorito della vigilia - ha detto il fuoriclasse slovacco -. Si meritava questo riconoscimento. Alejandro è un campione di prima grandezza».
DUE VITE. Imbatido. Ma anche Valv-Piti. Non è una carognata, ma storia. Il primo Valverde che ora è stato superato dal secondo, quello campione del mondo (62 a 61 come numero di vittorie), finisce nella rete del doping. Per quelle dannatissime sacche di sangue ritrovate nel congelatore del dottor Fuentes e per questo poi stoppato. Ma lui è tornato più forte di pri­ma. Più determinato. Più desideroso di ribadire al mondo che lui è nato per an­dare in bicicletta e che lo fa con tale na­­turalezza da la­sciare a boc­ca aper­ta tutti. E torna con due ossessioni: Mon­diale e Tour. Perché è vero che lui è un cacciatore di classiche pazzesco, ma anche nei Grandi Giri non è poi così male. Una Vuelta vinta e podi al Giro e al Tour.

LE LACRIME. E pensare che un anno fa, al Tour, la sua carriera sembrava davvero arrivata al capolinea. Caduto nella prima tappa, la crono di Dusseldorf: curva a sinistra, si schianta contro le transenne. Rotula in frantumi. Sono in molti a dire che non sarebbe più tornato. Lui, no. Lui ci ha sempre creduto. Sorretto da una passione sconfinata e da una tranquillità interiore enorme.

PIGRO E EFFICACE. Chi lo conosce bene sa che Alejandro non è uno stakanovista del pedale. Nel senso che non ama fare tante ore di sella e tutti i programmi che oggi prevedono gli allenatori, ma si affida ancora alle sensazioni. Lui predilige gli allenamenti veloci. Tanti allenamenti, ma mai lunghissimi. Lo trovi spes­so in sella, come un ragazzino che ha voglia di sfogare la propria passione, ma non di farsi del male. Non certo di massacrarsi: «Per questo ci sono già le gare…», dice. «Dopo la caduta del Tour tutto quello che viene è un regalo: 14 vittorie in stagione, questa bellissima maglia… posso chiedere di più?».
Valverde è il secondo campione del mondo più vecchio di sempre. Solo l’olandese Zoetemelk lo batte: di tre mesi. «Sono un vecchietto che non va male». Nelle sue gambe c’è ancora energia da vendere. Basta vedere il rapporto che ha usato sul Muro. «36x29. Non serviva di più, la parte dura era corta, solo 3-400 metri. Bastava avere un po’ di forza». Certo, bastava solo un po’ di forza…

ETERNO. È ancora qui, dopo diciotto anni. Tanti suoi colleghi sono ormai pensionati da tempo. Da quel Mon­diale canadese del 2003, ad Hamilton, ne è passata di acqua sotto i ponti. E a distanza di quasi 15 anni il Mondiale se l’è finalmente preso. Ce l’ha fatta al settimo podio, dopo quattro terzi e due secondi posti.

CHE GARA. Il Mondiale più duro da Sal­lanches 1980 (senza dimenticare Dui­ta­ma 1995, ndr). La prima fuga, di 11, che non inciderà sul risultato. Barguil che cade e si arrende. Poi tocca anche a Peter Sagan: a oltre 90 chilometri dalla fine, troppo presto. L’Italia di Cassani spera in Nibali e Moscon, intanto però i ragazzi azzurri sono lì, sornioni. Nel­l’ultimo giro un’accelerazione dell’olandese Kruijswijk fa male allo Squalo, che alza bandiera bianca a 23 km dall’arrivo. Poi è il danese Valgren che tenta l’azione solitaria e Moscon cerca di buttarsi in una sortita che spera possa decidere la gara prima del terribile muro finale, 2,8 km con pendenze al 28%.
Gianni lotta come un leone e resta da­vanti con Valverde, Bardet e Woods, ma nel tratto più duro si pianta e perde qualche metro: fatale. Il trentino alla fine sarà quinto. Sui tre rientra con un numero straordinario Dumoulin e la volata per l’oro se la giocano in quattro, ma non ci sono dubbi sul successo di Valverde, già re di 5 Freccia Vallone, 4 Liegi e una Vuelta.
«Ora, giorno dopo giorno, con la maglia iridata sulle spalle, potrai goderti la ricompensa di essere sempre tra i migliori, in tutte le gare. È la conferma che sei un grande corridore. Evviva Alejandro Valverde». È un messaggio tra i tanti arrivati, ma ha un mittente speciale: dal Re di Spagna al nuovo Re del ciclismo.

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