Nibali, una corsa contro il tempo

di Giulia De Maio

Il sogno tricolore di conquistare la Grande Boucle si è infranto a quattro chilometri dalla vetta dell’Alpe d’Huez. Tutti i tifosi italiani davanti alla tv sono sobbalzati dal divano quando le te­lecamere hanno inquadrato Vincenzo Ni­bali a terra. Quasi non ci volevano credere. Come è successo? Nel caos del momento, tra fumogeni e transenne scavalcate, non si capisce. Stava lottando con i migliori lo Squalo, era sulla ruota di Froome, sgambettava come nei giorni migliori, come nel 2014 quando fu in grado di conquistare la maglia gialla ed entrare nella ristretta cerchia di fuoriclasse che si possono fregiare della tripla corona. La sua smorfia di dolore non promette nulla di buono. Uno spettatore lo rialza di peso per farlo risalire in sella. La tv stacca, la corsa va avanti, Ni­ba­li riappare solo dopo un po’, in un in­seguimento disperato e forsennato. Una rincorsa eccezionale per limitare i danni, che lo vedrà chiudere a 13” dal­la maglia gialla Thomas. Nella generale resta quarto, a 2’37”. Da fuoriclasse qual è, si è salvato alla grande. Ve­den­dolo tagliare il traguardo tutti abbiamo pensato che il peggio fosse passato.

LA CADUTA
Invece no. «Ho preso un contraccolpo, mi è mancato un po’ il respiro per ripartire subito. Ho stretto i denti, ma in questo momento non riesco neppure a stare bene in piedi. Vedremo se con Gianluca Carretta, il nostro osteopata, è una cosa che si può aggiustare in poche ore, se non è troppo grave. Il contraccolpo mi ha dato molta noia alla schiena» spiega a caldo Vincenzo, dirigendosi verso il camioncino dell’antidoping, per cui è stato sorteggiato.
Poi, il trentatreenne siciliano della Bahrain Merida ricostruisce meglio l’accaduto: «C’era Bardet con dieci se­condi di vantaggio. In mezzo c’erano le moto, in quel punto si stringeva tanto la strada,  c’erano due moto del­la Gendarmerie e una marea di gente. Io ho seguito Froome quando ha accelerato, stavo bene. C’è stato un rallentamento… e sono andato giù». Ma co­me ha fatto a recuperare così nel finale? «Non lo so nemmeno io. Stavo bene, la condizione c’era, ci credevo davvero. Avevo fatto un attacco a dieci chilometri dal traguardo solo per ve­de­re come stavano gli altri, ma l’idea era quella di provarci più avanti».
Un video, in serata, spiega tutto: uno spettatore si sporge dalla transenna per fare una foto e la tracolla della macchina fotografica va a toccare la bici, probabilmente il manubrio. L’uni­co campione in grado di farci sognare fino a Parigi è stato messo ko da una confusione mai vista e mal gestita.
La squadra presenta ricorso alla giuria, vorrebbe gli fosse abbonato il ri­tardo al traguardo, come successo per Froome sul Ventoux nel 2016, ma la richiesta viene respinta.

LA FRATTURA
Sul momento, però, quello che interessa di più è sapere come sta Vincenzo. Alle 18.24 arriva alla clinica mobile per fare le radiografie, assieme al me­dico della squadra Emilio Magni. Ci resta dentro una buona mezz’ora. Le sensazioni, all’inizio leggermente ottimistiche, via via virano verso il pessimismo. Il numero dei giornalisti che lo attende fuori, cresce. Si cominciano a ricordare le volte in cui è stato mes­so fuori gioco dalla sfortuna: la più eclatante resta quella dei Giochi di Rio del 2016, una caduta in discesa sul più bello, quando era lanciato verso la medaglia d’oro. Ma niente di paragonabile a un episodio come questo, in cui la regolarità della corsa stessa è stata compromessa.
Alle 18.55, dalla scaletta della clinica mobile, scende per primo il dottor Ma­gni e dà il triste annuncio: «C’è una sospetta frattura vertebrale, lo portiamo all’ospedale di Grenoble». Il trasferimento avviene con l’ambulanza, sono circa 70 km: non dietro l’angolo, considerando che - pur con la scorta della polizia - si deve scendere dall’Alpe d’Huez in mezzo al pubblico che rientra. Sembra incredibile, ma non c’era un elicottero a disposizione per il trasporto. Quando Nibali a sua volta scende quei gradini, la faccia tradisce delusione e sofferenza. Gli hanno preparato la macchina affinché si metta il più comodo possibile, lo avvertono che potrebbe soffrire per gli inevitabili sobbalzi. In serata, l’ospedale di Gre­noble conferma il verdetto dei primi esami radiografici: frattura della decima vertebra toracica. Il Tour di Vin­cenzo è finito all’Alpe d’Huez. Nel peggiore dei modi.
FAIR PLAY?
«È un peccato. Non so se sarei stato in grado di vincere la tappa, ma stavo bene. Me la sarei giocata. L’azione per rientrare? Ho spinto forte, sapevo che l’ultimo chilometro era quello più facile. Per ridurre il gap. Non sapevo quan­ti corridori mi avessero passato e mi mancava il respiro. Come quando da ragazzotti si cade e non riprendi fia­to. Ho apprezzato anche il gesto di fair play che c’è stato da parte dei miei ri­vali, in una tappa così. Grazie. Ho vi­sto qualche foto, sembra che tutti fossero schierati… Io pensavo comunque solo a rientrare» racconta a tarda sera riferendosi al momento in cui Froome, Thomas, Dumoulin e Bardet per un attimo hanno rallentato e si sono guardati in faccia. Una semplice fase di corsa, come ha subito riconosciuto il no­stro direttore inviato in Francia, nul­la di più. Lo hanno confermato gli stessi rivali del siciliano che, interrogati a questo proposito il giorno dopo, han­no onestamente ammesso che neanche sapevano cosa gli fosse successo. Vin­cenzo, in un grande giro, non si era mai ritirato. Questo era il diciannovesimo, la settima partecipazione al Tour.
Dall’esordio del 2008 al 7° posto del 2009, poi il 3° del 2012, la vittoria del 2014, il 4° del 2015 e il 30° del 2016. Ora se la stava giocando, lui che è stato l’unico in grado di interrompere l'egemonia Sky degli ultimi anni. «È successo un patatrac, a causa di più fat­tori, sono andato giù con il sedere. Mi è mancato il respiro. Non so neanche chi mi ha preso e tirato su in bici, meno male che non era una lesione troppo grave altrimenti mi avrebbe fat­to più male che bene. Non si può fare altro, ora… Il dottore mi ha detto che a settant’anni avrò un po’ di mal di schiena. Mi dispiace. Era una tappa ve­ra, di montagna, poteva venire fuori qualche cosa di bello. Invece lascio il Tour così».

LE SCUSE
In albergo, alle 23, il direttore del Tour Christian Prudhomme lo aspetta per scusarsi: «Vincenzo, sono desolato per quello che è successo. Grazie per il modo in cui onori sempre il ciclismo». Con grande classe lo Squalo ha replicato: «Penso non sia mai semplice da ge­stire una situazione del genere, spero però possa servire in futuro per creare maggiore sicurezza per gli atleti. E mi rivolgo ai tifosi: i fumogeni non servono a niente».
Il giorno dopo, invece di andare a Bourg d’Oisans, sede di partenza della tappa successiva, in macchina torna a Lugano con il fido massaggiatore Mi­chele Pallini. Se tutto il mondo attorno a lui è imbufalito per quanto accaduto, lui pare sereno. «Ormai il danno è fat­to e bisogna guardare avanti. La vita è così. Ti mette davanti a queste situazioni. L’importante è che tutto il resto sia a posto» confida durante la colazione al collega Ciro Scognamiglio della Gazzetta dello Sport.
«Ho avuto modo di “snervare” già mentre ritornavo in albergo dall’ospedale, parlando con il dottor Magni e con l’osteopata Carretta. Sono fortunato ad avere la piscina a casa, mi permetterà di fare dei lavori per mettere in scarico la schiena, anche per il solo fatto di galleggiare. Serve a sollevare il peso del corpo, non gravi sulla parte interessata e fai degli esercizi».
La prima cosa che ha detto ai compagni, quando li ha rivisti, è stata: «Mi dispiace, ragazzi». Quasi come si stesse scusando: «Sì, perché abbiamo lavorato tutti assieme per essere qui, per fare un bel risultato, e non è bello la­sciare in questo modo».
Ora, come dice lui, è meglio che lo sguardo vada al futuro: «Sono ripartito da infortuni forse più grossi. Quello che è successo, per fortuna, non do­vrebbe compromettere la parte finale della stagione, la Vuelta e il Mon­diale, anche se dovrò stare fermo e riposare diversi giorni. Fino a che c’è il dolore non posso fare niente».
LE ACCUSE
«Alla base del problema c’è sempre la sicurezza. Evidentemente non ci sono abbastanza controlli, non ci sono gli investimenti necessari. Questo non è accettabile». Il tono di Brent Copeland, general manager sudafricano della Bahrain Merida, è come al solito pacato ma le sue parole sono molto chiare. Alla squadra naturalmente continua a bruciare il modo in cui è dovuto andare a casa dal Tour capitan Vincenzo Ni­bali, al debutto nella Boucle con i colori del team: era quarto in classifica, poteva giocarsi la tappa dell’Alpe d’Huez, il podio e la maglia gialla nella terza settimana. Niente di tutto questo, invece.
«Gli organizzatori, in questo caso la Aso, non stanno facendo abbastanza - continua Copeland -. Avete in mente il modo in cui era stata gestita la tappa dello Zoncolan al Giro, con tutta quella gente a fare un cordone di sicurezza? Esemplare. Dove è successo l’episodio di Nibali, le persone avevano spinto via le transenne… Poi non c’era l’elicottero per trasportarlo all’ospedale di Gre­noble, così ci hanno detto, però ne stavano volando 5 o 6 per la televisione. Nibali si è dovuto ritirare, ma non sia­mo d’accordo con la decisione della giu­ria di non ridargli i 13” al traguardo. Rispetto a quanto successo nel 2016 a Froome sul Ventoux, ci è stato detto che allora c’era stata la colpa della mo­to e non era stata una situazione normale. Ma neppure l’accaduto sull’Alpe d’Huez lo era. Nibali sarebbe arrivato di sicuro con i primi. Prima del Tour, i gruppi sportivi avevano scritto all’Uci riguardo alla sicurezza, alla luce delle proteste anti-Sky. Ma la federazione non ha mai risposto. Siamo stati danneggiati e stiamo valutando un’azione legale. Abbiamo chiesto all’associazione squadre e ci dovrebbe essere un precedente in tal senso».
Fausto Ma­lucchi, il legale di Nibali, ha scritto alla direzione del Tour e al presidente dell’Uci David Lappartient: «Si­tua­zioni del genere devono essere previste ed evitate. Vincenzo non è solo una brava persona, è un simbolo di questo sport. Tutelare lui vuol dire tutelare tutti».
IL RECUPERO
L’operazione recupero è cominciata fin dal giorno dopo quel maledetto giovedì 19 luglio. «Vincenzo - spiega il dottor Magni - si è dotato di un busto a tre punti, C35, che serve a mantenere la fisiologica curvatura della colonna vertebrale. Sostanzialmente, deve portarlo quando sta in piedi. Alla Clinica Sant’Anna di Lugano si è sottoposto a una risonanza magnetica, che non ha rivelato nulla di nuovo ma è importante perché ci servirà come punto di riferimento quando tra una ventina di gior­ni andremo a rifarla per valutare l’evoluzione della frattura». Piano pia­no ha cominciato a fare l’elettrostimolazione muscolare agli arti inferiori, per non fare decadere il tono muscolare. Per accelerare il processo di calcificazione ossea si è dotato di dispositivi magneto-terapici: due elettrodi applicati nella sede della frattura. Una decina di ore al giorno, non necessariamente consecutive ma modulabili a seconda delle esigenze. Dopo una settimana dall’incidente la decisione di operarsi, per accelerare i tempi.
Lo Squalo non sta nella pelle. «Sono ottimista. Ho trovato un bell’aiuto nel centro Rehability di Lugano, poi la Techno­gym mi fornirà di accessori a casa e si stava pensando di utilizzare appena sarà possibile una sorta di idro-bike per pedalare in piscina senza gravare troppo con il peso sulla parte in­fortunata. Il morale è buono, ma il rischio di non prendere parte alla Vuel­ta c’è e la cosa complicherebbe la strada verso il Mondiale di Innsbruck. All’inizio della prossima settimana mi sottoporrò in Italia a un’operazione al­la vertebra che possa aiutarmi a ristabilirmi in tempi più brevi. Non faccio il dottore, ma dopo tanti consulti abbiamo valutato che la strada dell’intervento sia la più sicura, anche considerando i rischi in caso di altre cadute. Magni si è consultato con diversi colleghi tra cui Franco Combi (in passato all’Inter, og­gi responsabile sanitario del Sassuolo calcio, ndr) e il professor Dino Bra­manti di Messina. Mi fido di loro».
Il dottor Magni entra più nello specifico dell’operazione: «Il nome scientifico è vertebroplastica percutanea - spiega il medico toscano -. Vuol dire che me­diante l’introduzione di due aghi, uno per ogni lato della colonna, si va sotto visione scopica, diciamo, diretta, con l’ago nel punto desiderato. E lì viene iniettata questa sostanza cementante. Lo scopo è dare una maggiore stabilità alla vertebra e di metterla in condizione di potere sopportare certi carichi di lavoro, ovviamente progressivi, in tem­pi più brevi rispetto alle vie tradizionali».

IL MONDIALE
Quanto ai tempi di recupero del post-intervento, Magni non si sbilancia: «Ci sono delle previsioni più ottimistiche e altre un pochino più reali. Il punto del­la situazione si dovrà fare dopo l’operazione. È abbastanza semplice, ma ri­schi ce ne sono sempre. Io spero che in un paio di settimane possa ricominciare, ma con quale intensità e frequenza è da stabilire. Sulla possibilità di vederlo al via della Vuelta, direi che siamo al 50%».
La corsa spagnola era nei piani già da inizio stagione. La strategia del coach Paolo Slongo ricalcava quella seguita nel 2016, quando Nibali corse il Giro d’Italia alla caccia della maglia rosa (vinta) e poi il Tour in funzione dei Gio­chi di Rio, dove arrivò in condizioni eccellenti. In questo 2018, il Tour prendeva il posto del Giro, e la Vuelta quello del Tour. In Spagna, dopo un me­se di luglio da protagonista in Fran­cia, Vincenzo sarebbe andato senza pressioni e obblighi di curare la classifica generale, ma pensando principalmente alla sfida iridata di Innsbruck, il cui durissimo percorso gli è favorevole.
«Certezze non ce ne sono - conferma Slongo -, ma non avesse fatto questo intervento si prospettava una guarigione in sei settimane. Così, quando si ce­mentifica la vertebra, si può sperare di riprendere in otto-dieci giorni. Se Ni­ba­li non riuscisse a essere pronto per partecipare alla Vuelta, che scatta il 25 agosto, bisognerebbe studiare un piano alternativo, con un ritiro e poi la partecipazione ad altre gare (il calendario propone il Tour of Britain dal 2 al 9 settembre e le corse italiane, ndr). La strada migliore sarebbe in ogni caso quella della Vuelta, anche se più “di sacrificio”, visto che all’inizio non po­trebbe essere certo in condizione. Ma per avere una tempistica più certa bisognerà per forza attendere gli esiti dell’intervento».
Se non ci saranno poco auspicabili in­toppi la strada è tracciata. Il conto alla rovescia è già partito: domenica 30 settembre c’è un appuntamento da non mancare.
«Preferirei la prima maglia iridata a un secondo Tour» ha sempre ripetuto lo Squalo.

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