di Pier Augusto Stagi
È chiaramente il nostro uomo più veloce, non solo con le gambe, ma anche con il pensiero. Sì, perché Elia Viviani velocista principe di questo fantastico 2018, non solo va di volata, ma anche di fretta.
Ci sono tanti modi di vincere per conquistare un titolo italiano che poco gli si addice, il veronese oro di Rio ne sceglie uno per lui inedito: non aspetta la volata e va all’attacco. Si butta nella mischia, come in una corsa a punti, convinto che quello sia il momento giusto per non perdere la corsa e provare a vincerla.
Non doveva essere un percorso adatto a lui, perché troppo duro, con troppa salita (3000 metri di dislivello, ndr), soprattutto con quello strappo spaccagambe al 17% posto a poco più di due chilometri dal traguardo. Elia Viviani, l’uomo degli sprint anticipa tutti e si gode uno dei successi più belli in carriera.
«Di titoli italiani su pista ne ho vinti davvero una montagna - racconta lui soddisfatto come poche altre volte l’abbiamo visto -. Tanti, fin dalle categorie giovanili, fatico anche a dirvi quanti, ma questo di Darfo Boario Terme re-sterà per sempre nel mio cuore, perché maturato su un circuito molto duro, molto esigente e con una condotta di gara che considero davvero perfetta. Poche altre volte mi sono piaciuto così tanto, questa volta posso dirlo: mi sono piaciuto un sacco».
I complimenti se li fa lui, ma glieli fanno un po’ tutti, proprio tutti: da Davide Bramati, che Elia ha guidato in questa avventura tricolore, a Giovanni Visconti e Domenico Pozzovivo che si sono dovuti accontentare di fargli da paggetti sul podio, «ma quando uno è chiaramente più forte, c’è poco da dire», ammettono all’unisono i due Bahrain.
Sabato 30 giugno è una data che resterà nella storia di Elia Viviani e non solo. Una giornata aperta dall’aurora di un oro, conquistato nella crono ai Giochi del Mediterraneo dalla fidanzata Elena Cecchini, campionessa d’Italia due anni fa proprio sullo stesso traguardo di Darfo Boario Terme. In mattinata me l’aveva detto, secco e sicuro: Elia, terrai su quello strappo finale? «Se tengo? Certo che tengo».
Vive la giornata perfetta, Elia. Non sbaglia nulla, correndo da manuale. Veloce, scaltro e lucido come pochi. Accelera quando deve, temporeggia quando può. Fa tutto giusto, fa tutto bene. Pronto a far lavorare i compagni per ricucire sul drappello che con Nibali, Ulissi e Moscon si muove a 55 chilometri dall’arrivo. Pronto a infilarsi negli otto che riagganciano la fuga ai meno 25. Prontissimo ad allungare quando mancano al traguardo 9 chilometri con Oss e Pozzovivo. Superlativo nel resistere sullo strappo finale - ai meno 4 - e a vincere facile su Visconti e Pozzovivo.
«È bellissimo essere la bandiera d’Italia - ci ripete felice -: non avrei mai pensato di vincere in questo modo, con questa forza e autorità. Ci speravo, questo sì», dice questo ragazzo che sta migliorando anno dopo anno la propria statura di atleta, alzando costantemente l’asticella delle sue vittorie e del proprio talento.
Certo, gli manca la grande classica, quella con la “C” maiuscola, una vittoria che dia ulteriore senso a tutto quello che già un senso ce l’ha: lo sa anche lui e su questo sta lavorando. Elia è uomo che programma e mira a migliorarsi, gara dopo gara. Segnali ne aveva già mandati di recente, vincendo a Plouay e ad Amburgo, sfiorando un Europeo e una Gand-Wevelgem.
«Questa maglia però mi ripaga di tante vittorie mancate per un niente, anche se so che c’è da migliorare e vincere: ma questo non mi fa paura, anzi, mi stimola».
«Ci speravo, di vincere - confessa il 29enne veronese della Quick-Step Floors -, ma farlo così... Vestirò la maglia tricolore per un anno intero. Un simbolo che mi rende fiero e orgoglioso. Mi emoziona, e la cosa mi mette i brividi».
Nessuno al mondo quest’anno ha vinto quanto questo ragazzo simbolo di professionalità e impegno: 14 successi tra cui quattro tappe al Giro più la maglia ciclamino.
«Quando ho cominciato a pensare al tricolore? Fin da questo inverno, anche se sapevo che non sarebbe stato facile, perché il percorso non era proprio adatto a me. Però una volta finito il Giro non mi sono adagiato, non mi sono accontentato, non mi sono sentito appagato. Le cose buone fanno la bocca buona e io sono uno che alla vittoria ci fa la bocca come pochi. E così ho deciso di tirare dritto, di fare solo una settimana di scarico, ma poi di rimettermi in careggiata e correre la Adriatica-Ionica (3 vittorie più la cronosquadre, ndr). Fondamentale, come sempre, è stato poi venire a vedere con i propri occhi il percorso. Ho girato sul circuito con il d.s. Davide Bramati. Ho detto e ripetuto più volte che non era per me, che era troppo duro e selettivo, ma era pretattica. Ora lo posso dire».
S’immaginava però una corsa più chiusa, controllata e sigillata, nella quale avrebbe dovuto tenere duro sullo strappo finale prima di sprigionare i propri watt nella volata finale, invece Elia si è davvero superato, andando a cogliere l’attimo, da autentico campione.
«Ho capito che la corsa la stavo perdendo, mi stava sfuggendo, a circa 55 chilometri dalla fine. Fase delicata, con una fuga di 8 corridori e poi altri 8 contrattaccanti. Ho rischiato l’osso del collo facendo una discesa a tutta per riportarmi su di loro. Il Brama mi diceva che se non rientravo era un suicidio: ce l’ho fatta, grazie anche al lavoro e al sacrificio di Davide (Martinelli, ndr) e Fabio (Sabatini, ndr). Poi sono stato bravo e lucido a seguire Oss e Pozzovivo. Dovevo arrivare con loro ai piedi dello strappo, evitando in tutti i modi di far rientrare Visconti perché altrimenti sarei stato spacciato. Ho dovuto rischiare di perdere per centrare la vittoria, ma spesso è così».
Lui parla e racconta, con lucidità e calma olimpica. A proposito: più bello l’oro di Rio o questo tricolore?
«Forse questo tricolore è stato il più bello, tra le emozioni più grandi mai provate. Quando la vestirò per la prima volta? A Londra, domenica 29 luglio. Prima, farò una settimana di vacanza, e poi mi allenerò in altura a Livigno. All’inizio di agosto mi attendono gli Europei di Glasgow su strada dove cercherò di prendermi la rivincita dell’argento dello scorso anno. Se vincessi, avrei di diritto il pass per i mondiali di Innsbruck. Sarei il nono uomo azzurro. Sogni? Macché, potrei però animare i primi chilometri di una sfida per me impossibile».
Ma prima dei mondiali, c’è ancora da fare tanto altro. C’è da chiudere una stagione per il momento eccezionale.
«Vorrei correre la Vuelta, ma devo parlarne ancora con la squadra. In ogni caso tornerò anche in pista, per cominciare a guardare a Tokyo 2020. A proposito della pista, Montichiari è messo male, e non ci si può permettere che tutto vada in rovina. Se “cade” Montichiari, cade tutto. Montichiari ha una decina d’anni, non può finire così questa storia. Non possiamo rischiare che tutto il lavoro fatto in questo decennio venga gettato al vento».