PROFESSIONISTI | 15/11/2016 | 19:12 Il cognome suona più italiano (radici nizzarde, e forse prima liguri) che francese (è di Grenoble). Il cognome lascia immaginare più un corridore da strade bianche, comunque da mountain bike o da ciclocross in periodi di siccità, che non da strada.
David Polveroni è il più italiano, almeno nel cognome e nelle origini, del gruppo, qui al Tour of Rwanda 2016. Dorsale 72, squadra Haute Savoie/Rhone-Alpes, 27 anni, probabilmente è quello che da più tempo gareggia: “Ho cominciato prestissimo, a otto anni, pronti-via sono arrivato diciassettesimo, ci ho preso gusto, ho continuato, non ho più smesso”. Non ha più smesso neanche di aspettare, inseguire, rincorrere la prima vittoria importante: “Nella Granfondo Luc Alphand, si scalava anche l’Izoard, avevo 17 anni”. Quest’anno si è imposto nella Haute Route of Alps Wines: “Scalatore, più da salite dure, da rapporti agili”. Lo si vede, ha il fisico dell’arrampicatore: “Pelle e ossa, magari anche gambe e cuore, in salita non serve altro”.
Finora al Tour of Rwanda Polveroni, la polvere, l’ha mangiata: “Il prologo non era il mio terreno”. Sessantacinquesimo a 34”36. “La prima tappa l’ho chiusa in gruppo, ma era il secondo”. Cinquantaduesimo a 1’55”. “Oggi sono rimasto con i migliori fino all’attacco del gran premio della montagna di prima categoria, quasi 17 chilometri al 3,8 per cento medio, più da rapporto che da agilità, ho provato a rientrare, ma ero al gancio”. Trentatreesimo a 11’10”. Totale: 36° a 13’34”. “A questo modo di correre, tutto a scatti e contro scatti, tutto a tutta, non è facile adeguarsi. E comunque non immaginavo che il livello delle corse fosse così alto: i corridori africani, soprattutto quelli ruandesi, sono più forti di quello che si potrebbe pensare”. Ma c’è da capirlo: “E’ la prima volta che corro in Africa. Anzi, di più: è anche la prima volta che ho preso l’aereo”.
Polveroni si è diplomato all’istituto commerciale, ha lavorato in un negozio di bici, molto da venditore e un po’ anche da meccanico: “Sono venuto qui in cerca di nuove esperienze ed emozioni. Finora le emozioni più forti me le ha date la gente: mai vista tanta. Non ho mai fatto né il Tour de France né il Giro d’Italia, ma credo che né al Tour né al Giro sia possibile vedere così tanta gente. Mi sono sentito circondato, assediato, accompagnato, spinto, sostenuto. E tutta questa gente dà un senso al nostro pedalare e ci inorgoglisce”.
Che bel titolo: Polveroni di stelle. “Il bello della bicicletta? L’avventura, il viaggio, i paesaggi. Il bello del ciclismo? Superare i propri limiti”. Marco Pastonesi
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