GIORNO DELLA SCORTA. Le memorie di Adriano

INIZIATIVE | 31/10/2016 | 08:34
Adriano Malori sarà ospite alla 25ª edizione de "Il Giorno della Scorta", in programma a Faenza il 27 novembre, per esprimere il suo punto di vista sulla sicurezza nelle gare ciclistiche e per raccontare le sue esperienze di una stagione particolarmente sfortunata.
 
Dalla brochure de "Il Giorno della Scorta:

Una storia tutta da raccontare, quella di Adriano Malori. Una storia che, attraverso le sue stesse parole, spinge a riflettere. Sul ciclismo, sulla sicurezza, sulla vita.
«Il 22 gennaio ero in testa al gruppo al Tour de San Luis e stavo parlando con Vincenzo Nibali. Quando mi sono risvegliato ero in un letto di ospedale e non riuscivo a muovermi. Mi hanno detto subito: “il tuo cervello si è sconnesso completamente dalla parte destra del tuo corpo. Con tanto lavoro e un po’ di fortuna potrai tornare ad avere una vita normale”. Mi sono trovato dalla gioia di essere vicecampione del mondo della cronometro e dal sognare una medaglia ai Giochi di Rio, al dover dipendere dagli altri per tutto, per mangiare e per andare in bagno. Con la forza e la determinazione, e soprattutto con l’aiuto di una fantastica squadra di medici e di specialisti, a fine marzo ho iniziato a fare i rulli, un’ora al giorno. Ho fatto fino a sei ore di riabilitazione al giorno».

C’era la bicicletta nei tuoi pensieri?
«L’obiettivo all’inizio era quello di tornare ad essere una persona normale, capace di bere con la mano destra e tagliarsi la bistecca. Il 28 aprile abbiamo fatto una prova in bicicletta nel magazzino della squadra e lì ho cominciato a sperare di poter tornare a correre. Ma fino a quel giorno non ci pensavo, anzi ero convinto di dovermi cercare un altro lavoro».

Però non è finita...
«Sono tornato finalmente a casa, ho cominciato ad andare in bici continuando a fare fisioterapia. Ma dopo un’ora, un’ora e mezza la mano diventava dura, non riusciva a governare la bici e sono nuovamente caduto nel baratro. Il mio futuro è tornato ad essere buio. Quando sono andato a Pamplona per un semplice controllo, mi hanno detto che ero fuori strada, così sono tornato al CNAI. Ho fatto giusto una sosta a casa per sposarmi con Elisa e poi ho lavorato, lavorato e lavorato in Spagna. Il 10 agosto mi hanno dato il permesso per tornare a fare il mio lavoro e ho cominciato ad allenarmi come una bestia. Sono tornato in gara il 9 settembre in Canada e mi sono commosso, non lo nego. Ma prima ho voluto raccontare la mia storia per aiutare gente che sta male: in questi mesi ho visto persone di tutte le età che soffrono davvero. Ed è a loro che voglio spiegare che c’è un ragazzo di 28 anni che in sette mesi è tornato a correre tra i professionisti. Almeno un sorriso e una speranza la voglio dare, perché se la meritano. Ho provato qualcosa che non cancellerò mai: stare nella sofferenza assieme a gente che sta male insegna cose che non avrei mai immaginato di imparare».

Ma la sorte non aveva ancora finito...
«Il 28 settembre sono caduto ancora, in un incidente banale e siamo finiti a terra in tre in mezzo al gruppo: il mio compagno di squadra Ruben Fernandez ed io ci siamo rotti la clavicola. “Non so quanto tempo e sforzi ci vorranno però Adriano Malori TORNERÀ” ho scritto sui social ed è questo il pensiero che mi anima».

E dal punto di vista della sicurezza, cosa si può fare?
«Tutte le componenti del ciclismo devono dare il loro contributo. Gli organizzatori scelgano strade adatte ad ospitare le corse e valutino tutto quanto può garantire la massima sicurezza alla corsa; i componenti della carovana rispettino le loro posizioni e non ostacolino la marcia dei corridori, come purtroppo abbiamo visto nei tragici incidenti che hanno caratterizzato questa stagione; i corridori capiscano finalmente che bisogna essere più tranquilli in certi frangenti della corsa, quando magari iniziare una salita al venticinquesimo posto anziché al decimo non cambia i destini della corsa. In questo modo, e con la collaborazione preziosa di uomini specializzati come quelli del Gs Progetti Scorta, potremo continuare a vedere belle gare di ciclismo e a parlare di scatti, imprese e volate, senza più fare i conti con la sicurezza dimenticata».

Paolo Broggi
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