BRAMBILLA. «STAGIONE OK, RIMPIANTO NAZIONALE»

PROFESSIONISTI | 26/10/2016 | 07:34
Una stagione da incorniciare. Il 2016 di Gianluca Bram­billa è stato l’anno migliore per il 29enne della Etixx Quick Step andato a segno sia al Giro d’Italia che alla Vuelta a España. Il lecchese di nascita ma veneto d’adozione ha brillato dalla prima all’ultima gara a cui ha partecipato. Dalla Chal­lenge Maiorca, in cui ha firmato la sua prima vittoria con la formazione belga, di cui difenderà i colori anche nel 2017, a un Lombardia corso da protagonista. Un unico neo: non è riuscito a indossare la maglia azzurra, che tanto voleva.

Non convocato per i Giochi Olimpici dal commissario tecnico Davide Cas­sani, ha dovuto rinunciare all’ultimo ai Cam­pionati Europei per un problema fisico e non può sperare di partire per Doha essendo il Campionato del Mon­do piatto e non adatto a uno scalatore come lui. Per esaudire questo sogno l’appuntamento è rimandato all’anno prossimo.

Contento della tua stagione, Brambi?

«Non avrei potuto chiedere di meglio. Quest’anno non ho avuto nessun ma­lanno serio, corpo e testa hanno funzionato alla perfezione. Sono rimasto sempre concentrato, sono andato forte tutto l’anno e ho raccolto più di quanto speravo, sono super felice. Il Giro d’Ita­lia con la vittoria ad Arezzo e tre giornate in maglia rosa è stato un so­gno, al Campionato Italiano sono arrivato secondo così come sono stato presente in tutte le corse che ho disputato. In Spagna sono stato altrettanto competitivo e ho finito come volevo».

Il Giro d’Italia ti ha visto sbocciare.

«Non potrò mai scordare la 99a edizione, la vittoria è stata da pelle d’oca e vestire la maglia rosa il massimo che potessi desiderare. Grazie anche all’ottimo lavoro della squadra sono riuscito a mantenerla sulle mie spalle dall’ottava fino alla decima tappa. Da bambino sono cresciuto guardando in tv le im­prese di Marco Pantani: quando scattava lui, io scattavo sul divano. Vi lascio im­maginare cosa posso aver provato quando ho vestito il simbolo del primato nella corsa a tappe più importante di casa nostra, quella che lui un tempo dominava. Ho iniziato a correre all’età di dieci anni, da G4 con l’UC Romano, quando decisi di smettere di correre dietro a un pallone, con una piccola biciclettina rossa trovata nella soffitta di un negozio di ciclismo vicino casa iniziai a pedalare. All’epoca ero così piccolo che mi dovettero fare un telaio su misura, che andasse bene con le ruote da 28 pollici. Facevo fatica a tenere le ruote degli altri bambini perché la differenza tra il mio fisico e quello dei miei coetanei era notevole. Ero mingherlino, quindi penalizzato dai tipici percorsi lineari su cui ogni domenica i giovanissimi battagliano. Già allora però, quando la strada cominciava a salire avevo l’impressione che il ciclismo non fosse poi così sbagliato per me. Ecco, sul podio di Arezzo mi è passato davanti agli occhi il film della mia vita a due ruote».

Anche alla Vuelta ti sei tolto una bella soddisfazione.

«Sì, mi sono aggiudicato una tappa che ha stravolto la corsa. Ero in fuga ma con Quintana e tutti gli altri big che al traguardo di Sallent de Gallego-Ara­mon Formigal sono riuscito a mettermi dietro. Mi sono presentato al via del mio secondo Grande Giro di stagione con una condizione ottima. Dopo la sfida tricolore e la delusione di non essere stato convocato per i Giochi Olimpici, per quasi un mese non ho corso ma mi sono allenato bene. Sono rientrato a San Sebastian, finendo se­sto contro gente appena uscita dal Tour de France, poi alla Vuelta Burgos le gambe erano belle reattive. So­no arrivato al Giro di Spagna pronto. Nel­la prima settimana sono sempre rimasto con i primi, ero in classifica, ma la vittoria continuava a sfuggirmi e realisticamente non potevo competere per la maglia rossa. Le fughe vedevo che ar­rivavano in porto spesso così ho de­ciso di sacrificare la generale per puntare a una tappa, che vale più di una possibile top ten. Sono uscito di classifica come avevo già fatto al Giro e mi sono andato a prendere una bella e anomala tappa, che d’inverno in una giornata di brutto tempo mi guarderò in tv con piacere».

Sei stato costretto a saltare il Campionato Europeo.

«Questa benedetta maglia azzurra non riesco proprio a metterla (sospira, ndr). Prima per volere di altri poi per sfortuna mia. Prima della sfida continentale ho dovuto fermarmi a causa di un dolore al soprassella, che ha cominciato a tormentarmi nelle giornate finali della Vuelta. Gli accertamenti medici mi hanno imposto tre giorni di completo riposo e di una terapia medica prima di riprendere l’attività. Mi ha rattristato molto doverci rinunciare per­ché ero entusiasta di gareggiare a Plu­melec e di essere stato scelto come una delle punte della Nazionale, ma purtroppo così è andata. Mi è dispiaciuto ancora di più non poter volare a Rio de Janei­ro per i Giochi Olimpici di agosto. Ho seguito la gara in tv insieme ai compagni dell’Astana nel loro bus mentre tornavamo in Italia, quando è caduto Nibali non avete idea delle bestemmie che sono volate... Da parte mia, vedendo come è andata la corsa e quanto è stata decisiva la discesa finale, ho un grosso rammarico. Non ho la presunzione di dire che potevo essere lì con Vincenzo, anche perché con i se e i ma non si va da nessuna parte, ma avrei dato il cento per cento per la cau­sa azzurra. Meritavo il posto, ne sono convinto e lo ribadisco. Il CT Cassani, quando mi ha comunicato che non ero tra i convocati, mi ha rassicurato dicendomi “non preoccuparti, sei giovane,  capiteranno altre occasioni”, ma la ve­rità è che le Olimpiadi si tengono ogni quattro anni, io ne ho 29 ed è difficile che mi ricapiti una stagione in cui va tutto dritto e vado forte sempre».

La vita da papà come va?

«È impegnativa, faccio più fatica quando sono a casa che quando sono via a correre (sorride, ndr). Asia è nata il 23 aprile, adesso dorme e quindi posso chiacchierare con voi, ma ci da un bel da fare. È arrivata pochi giorni prima del via del Giro, ha reso ancora più bel­la e completa la vita mia e di Cri­stina. Stiamo assieme da nove anni, abbiamo frequentato la stessa scuola e al termine degli studi ci siamo avvicinati senza più lasciarci. Mamma Patrizia, papà Riccardo e mia sorella maggiore Isabel hanno perso la testa per la nostra piccolina. Insomma siamo tutti stanchi per le poche ore di sonno ma felici. Quest’estate non abbiamo organizzato nessuna vacanza esotica, con la bimba non è facile muoversi e ci aspetta anche il trasloco. Prima eravamo in affitto a Bassano del Grappa, da poco abbiamo acquistato casa a Marostica, a cinque chilometri da dove viviamo attualmente. Stare a casa tranquilli sarà il miglior modo per ricaricare le pile dopo un an­no bello impegnativo».

Ti sei mai sentito così forte?

«Sinceramente no. Negli ultimi anni so­no cresciuto, non solo in termini di prestazione, ma anche di facilità nel trovare la forma. Dopo il Giro d’Italia dell’anno scorso rispetto alle stagioni precedenti mi sono reso conto che riesco a mantenere meglio la condizione accumulata nelle tre settimane. Fi­si­camente sono più pronto e ho im­pa­rato a lavorare, non metto più su chi­li co­me mi poteva capitare in passato. L’inverno scorso in particolar modo ho affrontato tante rinunce per arrivare al via della stagione con una buona gam­ba. Negli ultimi anni ci ho dato dentro, i sacrifici sono stati ripagati dalla condizione e dai risultati. Nes­suna rinuncia è impossibile secondo me, parlando di cibo cerco di non farmi mancare nul­la e stare a dieta non mi pesa. Fa parte del mio lavoro. Come fatico a fare sei ore, ogni tanto posso rinunciare a una pizza. Nel 2017 ci sono tante gare nelle quali vorrei far bene come la Strade Bianche, che è diventata Worldtour, e il Giro d’Italia che festeggia la 100a edizione. Nei prossimi anni mi piacerebbe provare a correre il Tour de France, che non ho mai disputato. Vincere una tappa anche alla Grande Boucle mi per­metterebbe di entrare nel circolo ristretto dei corridori che hanno alzato le braccia al cielo almeno una volta in tutti i grandi giri. Indipendentemente dai programmi, sarebbe un bell’obiettivo da porsi. Infine vorrei finalmente avere l’onore e l’onere di vestire la ma­glia azzurra in una competizione im­portante».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di ottobre
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