FELLINE, THE GREENMAN

PROFESSIONISTI | 24/10/2016 | 07:31
Verde. Verde come la bile che ha ingoiato quando i medici gli hanno detto che c’era il rischio che non po­tesse più gareggiare. Verde come la speranza di tornare a correre nutrita dentro di sè da metà aprile sino all’inizio di giugno. Verde come i boschi tra cui ha camminato nei 35 giorni in cui gli era stato vietato di andare in bici. Verde come la maglia che ha vinto alla Vuelta España 2016 e che, parole sue, l’ha guarito. Il ver­de è diventato il colore preferito di Fabio Felline, che il mese scorso ha conquistato la classifica a punti dell’ultimo grande giro della stagione.

Il ventiseienne torinese della Trek Se­ga­fredo è tornato sul palcoscenico del ciclismo che conta dopo il bruttissimo incidente occorsogli all’Amstel Gold Ra­ce, correndo per tre settimane all’attacco, lanciandosi in fughe a lunga gittata e fa­cen­do valere le proprie doti an­che in salita. Un risultato che merita grandi applausi per quanto ha dovuto faticare per raggiungerlo e perché pri­ma di lui solo quattro italiani nella storia erano riusciti a conquistare questo riconoscimento: Fiorenzo Magni nel 1955, Fabrizio Guidi nel 1998, Ales­san­dro Petacchi nel 2005 e Daniele Bennati nel 2007.

Come definiresti quest’anno tra up and down?
«Non è semplice racchiudere tutti questi mesi in poche parole. Per certi aspet­ti quella che sta per concludersi è stata la stagione che mi ha dato di più perché mi ha fatto toccare il fondo of­frendomi tempo e modo di riflettere su tante cose. Quanto mi era capitato mi sembrava negativo al cento per cento, ma proprio durante la Vuelta ho capito che il periodo che mi sono messo alle spalle è stato importante per la mia crescita. Mi sono imposto di non dimenticare quello che ho passato, l’uomo per sua natura tende a cancellare, ma da ora in poi non voglio e non posso più essere “capriccioso” per questioni di poco conto. Non serve lamentarsi o sprecare energie per delle leggerezze, ora lo so, prima questi meccanismi non appartenevano alla mia testa».

Quanto è stata dura?
«Quel maledetto 17 aprile stavo controllando la corretta chiusura della ruo­ta anteriore e ancora non riesco a spiegarmi come la mia mano possa essere finita tra i raggi. Poi, tanto sangue sull’asfalto, dolore, spavento e immediata corsa all’ospedale dove le radiografie hanno subito evidenziato la frattura del setto nasale. Ho provato tanta rabbia per aver gettato al vento in un modo così banale la possibilità di ottenere un buon risultato in una corsa cui tenevo moltissimo e per la quale, oltretutto, la squadra mi aveva assegnato i galloni di capitano. Più tardi la rabbia si è tramutata in paura quando i medici dell’ospedale di Maastricht, che già mi avevano dimesso, mi avevano ri­chiamato d’urgenza perché un esame più ap­profondito delle radiografie ave­va evidenziato anche la frattura della base cranica. Da quel momento, sui so­cial network si sono succedute le voci più al­larmistiche sulle mie reali condizioni. Qualcuno ha parlato addirittura di carriera a rischio e francamente è un’ipotesi che non ho mai voluto neanche prendere in considerazione».

Frattura del condilo occipitale, setto nasale rotto in tre punti e un dito spezzato.
«Una bella botta. Sei mesi fa lasciavo l’Olanda con un collarino a limitare i movimenti e talmente tante tumefazioni al viso da rendermi quasi irriconoscibile. C’è voluta tanta pazienza e de­vo ringraziare i medici del Giovanni XXIII di Bergamo che insieme a quelli del Galeazzi di Milano mi hanno ri­messo in sesto. Il naso mi è rimasto un po’ schiacciato, come quello di un pu­gile, ma va bene così. In fondo sono un ciclista, non un modello. Il 1° giugno sono rimontato in sella per la prima vol­ta e ho provato una grande emozione. Tre ore in bicicletta, in compagnia di Moreno Moser. Ricordo tutto di quel giorno: siamo usciti attorno alle 11, con tutta calma. Una bella passeggiata verso Sanremo (vivono entrambi a Montecarlo, ndr) e poi ritorno. No­vanta chilometri che mi hanno riportato il sorriso sulle labbra. Dopo di che, d’accordo con Luca Guercilena, la settimana successiva sono andato a fare dei test al Mapei Sport di Olgiate Olona (Va) per programmare il mio rientro».

Dove hai trovato la forza per reagire?
«Ho cercato di non stare fermo a piangermi addosso, ho chiesto il permesso ai medici e per tenermi in forma nel periodo in cui la bici era bandita ho svolto lunghe camminate in salita: partivo dal mare e andavo fino a La Tur­bie, sopra Montecarlo, per poi scen­dere e risalire. Un giorno sono sta­to in giro addirittura sei ore. Un buon allenamento per le gambe, ma anche un modo per svuotare la testa. Altri­menti 35 giorni senza bici mi sarebbero sembrati infiniti. Tornato in gara, il mo­mento più difficile è stato senz’altro il Campionato Italiano a Darfo Boario. Ho chiuso al 64° posto, faticando come una bestia per restare in gruppo. A fine luglio però le gambe hanno ripreso a mulinare come un tempo, finalmente».

Chi ti è stato vicino?
«Senz’altro papà Maurizio e mamma Cin­zia, finché c’è stata Giulia (l’ex fi­danzata che quando è avvenuto il fattaccio era in Olanda con lui, ndr) e i miei amici, quelli che compongono la mia seconda famiglia. Tra i miei cari c’è chi mi ha accompagnato nelle camminate in montagna, chi mi ha fatto da ta­xista quando non potevo guidare e do­vevo andare alle visite di controllo, chi in generale si è dato da fare per farmi sentire meglio in quel brutto momento. Anche la squadra è stata impeccabile, non ho mai avuto la sensazione di essere stato messo nel di­menticatoio, ho sentito spesso i miei compagni, il gruppo italiano in pratica tutti i giorni. Que­sta loro vicinanza mi ha fatto mol­to piacere, è proprio vero che è quando la strada si fa dura che percepisci la sensibilità delle persone».

La Vuelta ha chiuso un cerchio.
«Sì, già al Giro di Polonia ero andato forte (secondo nella generale, ndr) ma nelle tre settimane in Spagna ho dimostrato di essere tornato per davvero. Ho ritrovato quella continuità che do­po un brutto infortunio non è semplice riuscire ad avere. Sono stato presente in più occasioni, ho portato a casa un secondo posto e quattro terzi posti, fi­no a 24 ore prima dell’arrivo a Madrid ero dispiaciuto di non aver vinto una tappa ma salire sul podio e indossare la maglia verde mi ha ripagato di tutto. La vittoria nella classifica a punti ha cancellato qualsiasi rimpianto, ha dato un senso al tanto lavoro svolto e mi ha dato le conferme che cercavo».

Cassani ti ha voluto all’Europeo, ma non è andata come speravi.
«Sono incappato nella classica giornata no, in cui mi ha colpito l’effetto re­bound che capita a tutti dopo un grande giro. Poteva capitarmi il lunedì, il martedì, il mercoledì... purtroppo è capitato proprio il giorno della prova a cronometro. Non sono stato all’altezza dell’atleta che sono e della gara, sono partito con l’idea di provare a vincere una me­daglia, ma strada facendo mi sono spento e sono rimasto in mezzo a una via (ha terminato 25° a 3’38” dallo spagnolo Castroviejo, ndr). Moreno ha vinto il bronzo correndo sui numeri che avevamo ipotizzato prima del via e anche io pensavo realisticamente di essere in grado di reggere, ma le gambe non andavano».

Dopo quest’annata non proprio fortunata, cosa ti auguri per il tuo futuro prossimo?
«Voglio un salto di qualità, ero sulla strada giusta prima dell’incidente, ero partito bene ma non ho fatto in tempo ad entrare nel vivo della stagione. Finite le gare, mi concederò una vacanza con amici, poi mi ri­metterò al lavoro per preparare il 2017. Nelle categorie minori tanti mi dicevano che correvo solo perché vincevo, a furia di sentirmelo ripetere quasi iniziavo a crederci anche io, invece quando ho dovuto affrontare le prime difficoltà ho capito che non erano solo i risultati a mandarmi avanti, ma l’amore per la bici, per me una vera valvola di sfogo. Ho mosso le prime pedalate a tre anni, a 10 anni papà e nonno Do­na­to mi hanno iscritto al Pedale Rostese, da quando ho inforcato quella piccola Boeris rossa fornita dalla squadra, a cui è seguita a 12 anni una Olmo gialla e nera, la prima veramente mia, il ciclismo è diventato parte integrante della mia vita. Quest’anno la mia carriera si è incagliata contro un grande scoglio, ma sono riuscito a rialzarmi con grinta. Ora sono felice e non voglio perdere altro tempo».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di ottobre
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COMMENTI
Bentornato Fabio
24 ottobre 2016 09:37 thered
Ci siamo conosciuti in occasione del Campionato Italiano a Boario Terme, e da quel poco ho avuto il piacere di parlare con te, ho capito che la convinzione e la voglia di tornare ad essere un vincente non ti mancano di sicuro.
E Complimenti per il Super finale di stagione.

n1
25 ottobre 2016 17:46 PEDALA
n.1

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