LUTTO | 27/09/2016 | 11:57 E’ morto il Maestro. Lo chiamavano tutti così: Maestro. Perché Giacomo Fornoni, che non insegnava alle elementari né in un’accademia, che non era un artista né un musicista, dava comunque lezioni. Lezioni di vita: come stare al mondo, sorridendo. Mica poco. Bergamasco di Gromo, “la piccola Toledo” della Val Seriana, della sua terra il Maestro aveva ereditato la tempra, la stessa dei fondisti Pasini e Santus. Il resto lo aveva guadagnato sulla strada: passista, cronoman, gregario, in senso metallico un bel vagone, in senso zoologico un bel mulo, in senso umano un bel compagno. Da dilettante: medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma 1960, nel quartetto della 100 km, con Toni Bailetti, Ottavio Cogliati e Livio Trapé. Da professionista: nove anni nella Molteni, tre vittorie (fra cui un Baracchi con Gianno Motta) e mille avventure. Sentirgliene raccontare anche una sola valeva il biglietto, il viaggio, la giornata, insomma, la lezione di vita. Prima lezione: “Quella volta che ricevo una 500 verdina, tettuccio apribile, premio per la vittoria olimpica. Ci salgo, metto in moto, parto, vado. Contro un muro. Non avevo neanche la patente”. Seconda lezione: “Sulla 500 con Arienti, curva a 70 all’ora e ci ribaltiamo. Usciamo dalle portiere e rovesciamo la macchina. Possibile non fare questa curva a 70 all’ora? Riproviamo: torniamo indietro, giriamo la 500, piede sull’acceleratore, curva a 70 all’ora e ci ribaltiamo ancora. A forza di botte, la 500 si è rimpicciolita a 400”. Terza lezione: “Parigi-Nizza, pronti-via, in fuga io e Arienti, e a chi tenta di seguirci diciamo di andare via, che è roba di famiglia. Un quarto d’ora di vantaggio, la gente chiede dove siano gli altri, noi rispondiamo che c’è stato uno sterminio, poi la crisi, il maltempo, e come se non bastasse, 35 km in più. Siamo così cotti che non vediamo più neanche la strada. Sopra di noi volteggiano i falchi. In cima all’ultima salita mi ritiro, busso a un casolare, chiedo qualcosa di caldo, mi caricano su un cellulare e mi portano in albergo. Sembravo morto”. Chiuso come corridore, il Maestro apre come oste e ristoratore, a Rogeno, in Brianza. Il “Cinque Cerchi” diventa un punto di riferimento umano e gastronomico, ciclistico e cabarettistico, e lì il Maestro riceve, accoglie, ospita, invita, improvvisa, regala, insegna a stare al mondo, sorridendo. Gli ultimi anni, malinconici e svaniti, non sono all’altezza della sua arte. E adesso che anche ufficialmente non c’è più, a piangerlo e rimpiangerlo c’è innanzitutto chi, come Motta e Arienti, gli faceva da capitano o da amico, da spalla o da vittima, da complice o da impresario, da compagno di strada o di tavola.
Marco Pastonesi
Alla famiglia Fornoni, l'abbraccio della redazione di tuttobiciweb e quello di tutto il mondo del ciclismo.
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