L'ORA DEL PASTO. Eddy l'umano

PROFESSIONISTI | 18/06/2016 | 09:57
Il giorno del funerale di Tom Simpson – è il 18 luglio 1967, cinque giorni dopo la morte sul Ventoux – fra le cinquemila persone che partecipano al rito, i duecento ciclisti inglesi che scortano la bara e il temporale che investe il corteo dalla casa dei genitori fino alla chiesa, c’è Eddy Merckx. E’ l’unico corridore non britannico. Ha dimenticato la rivalità, i dispetti, gli attriti con Simpson. E per lui piange.

Merckx il Guerriero, Merckx il Cannibale, Merckx il Figlio del tuono, ha un cuore d’oro. Spietato in corsa, sa intenerirsi, addolcirsi, sciogliersi nella vita di tutti i giorni. Irriducibile, irresistibile, insaziabile sulla bicicletta, giù dalla bicicletta è semplice, spontaneo, diretto. Se la storia ce lo dipinge divino, la quotidianità ce lo restituisce umanissimo. Merckx andrà anche ai funerali di Joaquim Agostinho e Luis Ocaña, regalerà materiale e un’auto a Roger De Vlaeminck quando tornerà alle corse nel ciclocross, e non dimenticherà mai, neppure per un solo giorno o una sola circostanza, i propri gregari.  

Le 570 pagine di Claudio Gregori su “Merckx, il Figlio del tuono” (66thand2nd, 23 euro) raccontano e ritraggono il più forte corridore di sempre scavando, indagando, scoprendo, immergendosi in archivi e biblioteche o battendo strada e marciapiedi. Dalla citazione iniziale e già definitiva (“Chi va più forte deve vincere”), dal 17 giugno 1945 (“E’ un fiore della rinascita. Sboccia tra le macerie della guerra”), dal 20 marzo 1966 (la sua prima Milano-Sanremo: “Eddy Merckx rimane un vincitore nobile e superbo – scrive Bruno Raschi – che non accetta limitazioni di giudizio”), dai Giri e dai Tour, dai Mondiali e perfino dai circuiti. Ogni pagina come se fosse la prima, ogni pagina come se fosse l’ultima, ogni pagina come se fosse l’unica. A tutta, a blocco, alla morte.

Solo così Gregori e Merckx possono pedalare alleati come in un Trofeo Baracchi. Certe storie dicono molto di più di quello che dettano: “Quando Merckx fu trovato positivo a Savona, Zilioli andò nel suo albergo. Lo vide, gli toccò la mano e si mise a piangere. Non una parola. Poi scomparve”. Certe descrizioni si possono vedere e guardare: “La salita che porta a Malga Ciapela, 1450 metri, passa per i Serrai di Sottoguda. Una gola impressionante come la porta dell’inferno. Un intaglio nella roccia aperto, in una notte di tenebra, dal fulmine di Zeus”. Certi schizzi sono capolavori: a proposito di Ocaña, “la sua luce non è continua e splendente come quella del sole. E’ una luce di tenebra, con fulmini che illuminano e atterriscono”. Certi giudizi non ammettono repliche né appelli: “Al confronto Lance Armstrong è patetico”.

Merckx è già stato dipinto e scolpito, ma questa è l’ultima cena, qui stavolta si ha l’impressione di trovarsi in una cappella sistina del ciclismo. Non c’è aggettivo che non sia stato scelto, non c’è verbo che non sia stato selezionato, non c’è testimonianza che non sia stata eletta, non c’è attore o semplice comparsa che non si possa ritrovare fino a rivivere. E quello che sulla “Gazzetta dello Sport”, di cui Gregori rimarrà un inviato anche quando deciderà di dedicarsi solo a pomodori e giuggiole, è costretto a sacrificare nell’immediatezza delle cronache, soprattutto nel tirannico rigaggio dei pezzi, qui trova finalmente respiro ed eco, atmosfera e ambiente, spazio e tempo. Tant’è che “Merckx, il Figlio del tuono” non potrà mai essere ridotto a una biografia ciclistica, ma va considerato anche come tragedia greca, poema epico, romanzo d’avventura, storia geografica, perfino trattato morale là dove si parla dell’onore – quanto di più caro ci sia in un uomo, non solo atleta – minacciato, sospettato, infangato. Un’opera, quella sportiva di Merckx e letteraria di Gregori, che richiede attenzione e dedizione. Già imprescindibile. Da leggere e rileggere, da sottolineare e imparare, da ammirare.

Merckx ha 71 anni e un giorno, 17 meno di Gregori. E ieri Merckx, fra saluti e messaggi, fra auguri e ricordi, lui che non lasciava mai andare in fuga i corridori, lo avrà invece fatto con qualche lacrima.

Marco Pastonesi

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