ADISPRO. Chiesa: Motorini? Non punire solo l'atleta

PROFESSIONISTI | 18/05/2016 | 07:52
Purtroppo, i problemi nel mondo del ciclismo non mancano mai. L’ultimo in ordine di tempo è il cosiddetto “doping meccanico” che sta mettendo un’altra volta a dura prova tutto il sistema del ciclismo, in particolare quello al vertice della catena sportiva. Atleti che barano, o tentano di barare, con il coinvolgimento dei team: dal meccanico al direttore sportivo e a tutti gli altri tecnici che sono attivi in se­no al team.

Mario Chiesa, bresciano classe 1966, direttore sportivo del team svizzero IAM Cycling, segretario della ADISPRO ha - come è suo costume - le idee chiare e non gira intorno all’argomento.
«Io penso solamente una co­sa: il ciclista che ricorre a queste manipolazioni, il ciclista che bara è consapevole di quello che sta facendo, ma ci sono almeno un paio di persone nel team che sanno quello che sta accadendo e sono complici dell’atleta. Non ci credo che un ciclista riesca a fare tutto da solo senza coinvolgere nessuno, senza che all’interno del team non ci sia chi è al corrente di quel che accade. Non è da punire, anzi da radiare, solo il corridore ma vanno allontanati in maniera definitiva tutti quelli che sono coinvolti e che si na­scondono. C’è chi ha barato e chi ha aiutato a barare: tut­ti da punire, da eliminare. Ci sono delle cose che non riesco a capire: co­me fa il meccanico, che ha come suo la­voro il preparare le bici, a non saperne niente? Il manager di Gilbert, Vin­cent Wa­thelet, sostiene che è stato sot­tovalutato il problema del doping meccanico in gruppo, che i controlli predisposti dell’UCI sono insufficienti e che non hanno gli strumenti adatti. Cosa vuole dire con queste affermazioni? Dal mio punto di vista il problema non è così diffuso come si sente dire da più par­ti; è solo per pochi che hanno pensato e messo in at­to queste “furbate”. Ripeto, non credo che in un team nessuno sappia e nessuno ne sia al corrente: e allora chi sbaglia deve pagare e non solo chi viene preso in castagna, ov­vero il corridore».

Chiesa è in questi giorni im­pegnato con la IAM al Giro. L’altra questione che tiene banco in gruppo dopo gli ul­tim­i, purtroppo tragici, accadimenti è la sicurezza in corsa.
«Al Giro e al Tour de France chi è accreditato a stare in ca­rovana e guidare auto o moto ha fatto un corso specifico; poi è chiaro che può succedere di tutto, c’è sempre l’imponderabile, ma al­meno ci si affida a gente che ha una qualifica e in tanti casi ha corso o ha fatto il di­rettore sportivo, quindi ha l’esperienza necessaria per muoversi in gara. Per entrare nella carovana hanno imparato, sanno cos’è giusto fare  per poter svolgere il proprio compito al meglio, assumendosi le proprie responsabilità nel guidare un mezzo, cosa assolutamente non facile du­rante una corsa. Questo ac­cade nelle grandi corse, men­tre in quelle di “seconda fascia” non sempre avviene perché ci sono i soliti problemi economici che spingono gli organizzatori a volte ad affidarsi magari a dei volontari che ci mettono tutto l’entusiasmo e la passione possibile, ma che in certe situazioni difficili non hanno l’esperienza per sapersi muovere velocemente e senza mettere in pericolo la sicurezza propria e altri elementi della carovana, meno che mai i corridori, che da questo punto di vista sono l’anello debole del­la catena. Ma qui torniamo al problema delle corse che sono sempre più difficili da organizzare e che ancora si riesce a fare raccogliendo fon­di per coprire le spese dall’appassionato, dal piccolo sponsor, dal negoziante. E per fortuna esistono an­cora questi personaggi, al­trimenti avrem­mo ancora meno corse ogni an­no».

Ultimamente Enzo Ghigo, presidente della Lega Cicli­smo Pro­fessionisti, ha affermato che la Lega è pronta per sedersi ad un tavolo con la Rai con l’obiettivo di trovare una strategia comune per creare un punto di partenza di una nuova era per tutto il movimento.
«Ci sono stati tanti scontri tra organizzatori e team negli ultimi anni per quel che ri­guarda il discorso diritti televisivi. Non è facile per il ci­clismo arrivare ad essere co­me molti altri sport e penso al calcio o alla Formula Uno. Ci vorrebbe un cambiamento radicale, una struttura che coordini tutti gli eventi e che faccia anche gli interessi dei veri protagonisti, ovvero dei corridori e dei team. Ma ca­pisco che chi si prende carico di tutto, dai meriti alle rogne, organizzando un Giro o una grande corsa, sia poco disposto a una novità importante come questa».

Valerio Zeccato, da tuttoBICI di maggio
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COMMENTI
MA CERTAMENTE!!!!
18 maggio 2016 13:13 ewiwa
E questo vale anche per il doping non meccanico in gruppo si sa tutto di tutti e tra quelli che sanno metto anche i giornalisti che sono sempre al servizio del potere e poi cadono dal pero......ma se non fosse così come faceva Armstrong ad essere così prepotente, tracotante e vivere ogni Tour con un cordone di sicurezza intorno che lo rendeva inavvicinabile e segreto?Vero UCI?

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